Non ero mai riuscito, negli ultimi mesi, a portare a termine la lettura
di questo Uomo di Siviglia di Robert Wilson, l’autore inglese che si è
affermato, due o tre anni fa, con Una piccola morte a Lisbona e viene considerato
oggi uno degli scrittori noir più interessanti sulla piazza. Non
ci ero riuscito perché la situazione iniziale – l’omicidio da cui prende
avvio tutta la storia – era così raccapricciante che persino un veterano
par mio aveva qualche difficoltà a ingoiarla. Lo splatter thriller
ormai è un sottogenere riconosciuto, ci sono delle case editrici che non
pubblicano praticamente altro (la Piemme, per dirne una), ma ciascuno è
libero di non farselo piacere e a me, francamente., non piace. Tuttavia,
una quantità di persone mi avevano assicurato che L’uomo di Siviglia era
un capolavoro, per cui mi sono fatto forza e l’ho letto fino in fondo.
E non mi sono mai tanto pentito, posso assicurarvelo, di una decisione
del genere.
Vedete, il problema non sta nella truculenza.
Che un assassino leghi la sua vittima di fronte a un televisore,
gli tagli le palpebre e lo costringa a guardare un certo video fino a che
un infarto non sopravvenga è una situazione assurda e grottesca, ma la
si può anche accettare. Quello che non si può accettare è un romanzo
di oltre 500 pagine tutto costruito su esagerazioni del genere, un romanzo
al cui centro sta, sì, una figura tormentata di investigatore, tale ispettore
Javier Falcón della polizia di Siviglia, ma in cui i motivi del suo tormento
non hanno nulla, ma proprio nulla, a che fare con l’indagine in corso,
cioè con la trama, risalendo (sai che originalità) al rapporto fallito
con un’ingombrante figura paterna; un romanzo in cui buona parte della
vicenda consiste nella rievocazione delle atrocità cui si è dedicato per
un’intera esistenza il padre in questione, un noto artista che, pur colpevole
di plagio, pedofilia, truffa, stupro, contrabbando, uxoricidio e quant’altro,
è riuscito a morire di vecchiaia acclamato e rispettato da tutti; un romanzo
in cui i rapporti tra figli, fratelli, madri, matrigne, fidanzate, mogli
e concubine sono indistintamente gravati da una caterva di oscurità non
precisate e di infelicità generiche, in cui l’assassino sbuca dal nulla
a venti pagine dalla conclusione, in cui è assente un intreccio vero e
proprio e abbondano, in compenso, le autocommiserazioni e le analisi psicologiche
di maniera. Un romanzo, cioè, che utilizza un paio di elementi
del genere giallo, ma non li può sfruttare davvero, perché il giallo non
nasce dalle situazioni, ma è funzione della struttura dell’opera e qui
la struttura, sotto la veste pretenziosa, è quella di una storiaccia di
appendice dai risvolti granguignoleschi. A riprova del fatto che
un buon thriller è qualcosa di piuttosto difficile, ma a scrivere un cattivo
romanzo sono bravi in tanti.
21.02.’05
Robert Wilson, L'uomo di Siviglia (The Blind Man of Seville, 2003), tr. it. Paola Merla, "La gaja scienza" – Longanesi, pp. 539, € 18.00