L'uomo di Siviglia | Robert Wilson

Gialloliva | Trasmessa il: 02/21/2005




Non ero mai riuscito, negli ultimi mesi, a portare a termine la lettura di questo Uomo di Siviglia di Robert Wilson, l’autore inglese che si è affermato, due o tre anni fa, con Una piccola morte a Lisbona e viene considerato oggi uno degli scrittori noir più interessanti sulla piazza.  Non ci ero riuscito perché la situazione iniziale – l’omicidio da cui prende avvio tutta la storia – era così raccapricciante che persino un veterano par mio aveva qualche difficoltà a ingoiarla.  Lo splatter thriller ormai è un sottogenere riconosciuto, ci sono delle case editrici che non pubblicano praticamente altro (la Piemme, per dirne una), ma ciascuno è libero di non farselo piacere e a me, francamente., non piace.  Tuttavia, una quantità di persone mi avevano assicurato che L’uomo di Siviglia era un capolavoro, per cui mi sono fatto forza e l’ho letto fino in fondo.  E non mi sono mai tanto pentito, posso assicurarvelo, di una decisione del genere.

       Vedete, il problema non sta nella truculenza.  Che un assassino leghi la sua vittima di fronte a un televisore, gli tagli le palpebre e lo costringa a guardare un certo video fino a che un infarto non sopravvenga è una situazione assurda e grottesca, ma la si può anche accettare.  Quello che non si può accettare è un romanzo di oltre 500 pagine tutto costruito su esagerazioni del genere, un romanzo al cui centro sta, sì, una figura tormentata di investigatore, tale ispettore Javier Falcón della polizia di Siviglia, ma in cui i motivi del suo tormento non hanno nulla, ma proprio nulla, a che fare con l’indagine in corso, cioè con la trama, risalendo (sai che originalità) al rapporto fallito con un’ingombrante figura paterna; un romanzo in cui buona parte della vicenda consiste nella rievocazione delle atrocità cui si è dedicato per un’intera esistenza il padre in questione, un noto artista che, pur colpevole di plagio, pedofilia, truffa, stupro, contrabbando, uxoricidio e quant’altro, è riuscito a morire di vecchiaia acclamato e rispettato da tutti; un romanzo in cui i rapporti tra figli, fratelli, madri, matrigne, fidanzate, mogli e concubine sono indistintamente gravati da una caterva di oscurità non precisate e di infelicità generiche, in cui l’assassino sbuca dal nulla a venti pagine dalla conclusione, in cui è assente un intreccio vero e proprio e abbondano, in compenso, le autocommiserazioni e le analisi psicologiche di maniera.   Un  romanzo, cioè, che utilizza un paio di elementi del genere giallo, ma non li può sfruttare davvero, perché il giallo non nasce dalle situazioni, ma è funzione della struttura dell’opera e qui la struttura, sotto la veste pretenziosa, è quella di una storiaccia di appendice dai risvolti granguignoleschi.  A riprova del fatto che un buon thriller è qualcosa di piuttosto difficile, ma a scrivere un cattivo romanzo sono bravi in tanti.


21.02.’05

Robert Wilson, L'uomo di Siviglia (The Blind Man of Seville, 2003), tr. it. Paola Merla, "La gaja scienza" – Longanesi, pp. 539, € 18.00