L'ottava vibrazione | Carlo Lucarelli

Gialloliva | Trasmessa il: 05/05/2008


    L'ultimo, attesissimo romanzo di Carlo Lucarelli, che da qualche anno ci teneva a di­giuno, invita più a una riflessione che a una recensione. La recensione, in sé, di fatto, è la cosa più facile del mondo: il libro è bellissimo e sarebbe un vero delitto lasciarselo sfuggire. Corre l'anno 1895, siamo a Massaua, nell'allora Colonia Eritrea, dove, sotto un sole feroce e tra un diluvio tropicale e l'altro, nel clima pesante di quei posti e in quello della guerra imminente con il Negus, ne succedono di ogni: i futili in­trighi dei militari, sempre pieni della loro insipiente prosopopea, gli intrallazzi di una amministrazione civile già largamente corrotta, i poveri riti di una minima borghesia di espatriati, due lancinanti storie d'amore, un triangolo adulterino da cui non potrà uscire nulla di buono, un investigatore in incognito che dà la caccia a un serial killer pedofilo (anche se non usa, naturalmente, nessuna delle due espressioni) e altro ancora. Gli intrighi si intrecciano, confluiscono, si complicano, non senza qualche colpo di scena che rivela l'unghiata del grande giallista, ma sarà ovviamente il disastro collet­tivo, la disfatta di Adua, a stampare l'orma definitiva sulle tante crisi private. Bellissimo, vi dicevo, e affascinante, con una folla di personaggi indimenticabili e una straor­dinaria ricostruzione di ambiente.
    La discussione, be', quella può essere un po' più scabrosa. Riguarda la forte impronta letteraria che un'opera come questa propone ed esibisce. Non fraintendetemi, non mi riferisco alla vecchia questione dell'appartenenza alla letteratura della narrativa di genere, quella è superata da un pezzo, e poi, forse, L'ottava vibrazione non è neanche un romanzo di genere. Mi riferisco, piuttosto, al Letterario, nel senso in cui, si licet, lo deprecava il De Sanctis, all'evidente gusto della bella pagina e della bella scrittura, all'uso di un certo repertorio di colores retorici. Lucarelli ha sempre scritto benissimo, sia quando scriveva gialli seriali classici, come le serie di De Luca e Coliandro, sia quando affrontava costruzioni più complesse (pensiamo a un'altra ri­flessione sulla storia, Guernica, del1996). Oggi ha ritenuto, evidentemente, di fare uno sforzo in più: ha complicato il montaggio, alternando tra loro non soltanto gli spezzoni delle sottotrame (che è, ormai, pratica comune), ma anche, e soprattutto, i piani temporali; ha riservato molta attenzione all'aspetto lessicale, dando conto del mix di lingue e dialetti usati in quell'angolo di mondo, un guazzabuglio di tigrino, amarico, arabo, idiomi sudanesi e i poveri dialetti dei coscritti italiani, mandati a combattere in Africa per una patria di cui non conoscono neanche la lingua comune. In generale, bada con molta più insistenza di prima a quelli che si potrebbero definire i valori formali. Il risultato, vi dicevo, è affascinante e d'altronde ogni scrittore ha il diritto di scegliere gli strumenti che preferisce per raccontare al meglio le sue storie. Il proble­ma riguarda chi vedeva soprattutto, nella narrativa di genere, la possibilità di superare una certa caratteristica aulica, scolastica ed elitaria della produzione italiana, e scopriva nell'interesse predominante per quello che Aristotele chiamava il mythos, la “imitazione di una azione”, il segreto che avrebbe restituito al romanzo la sua funzione storica di strumento popolare di cultura. Per questo, d'altronde, quel genere era stato inventato. E, anche se non è questo il caso, c'è sempre il rischio di ritornare alla letteratura per gli happy few.
    Ma forse queste sono solo menate mie. Voi non badateci e buona lettura.
05.05.'08
Carlo Lucarelli, L'ottava vibrazione, Einaudi Stile Libero – Big, pp. 461, € 19,00