L'ipotesi del Dr. Dobu di Dobu

La caccia | Trasmessa il: 01/30/2011


    Nel 1962, un anno dopo la celebrazione del centenario dell'unità d'Italia, Umberto Eco pubblicava sul “Verri” un importante esempio di quella che si potrebbe chiamare “fanta-antropologia”. Si intitolava “Industria e repressione sessuale in una società padana”, sarebbe stato compreso l'anno successivo in Diario minimo e consisteva in una serie di scritti in cui usi, costumi e tradizioni occidentali, e particolarmente italiani e milanesi, sono descritti dal punto di vista di un dotto antropologo melanesiano. Di particolare interesse è, a mio avviso, il secondo, in cui il supposto autore citava, per confutarla, l'ipotesi del Dr. Dobu di Dobu (Dobu), che si sarebbe occupato, in un suo saggio del 1910, del Risorgimento italiano, cercando di ricostruire la storia della penisola “in base agli scritti storici dei nativi”. Giudicando dagli esiti noti e dai documenti a lui accessibili, il Dr. Dobu concludeva che il processo unitario era stato voluto e portato avanti soprattutto dal Regno delle Due Sicilie – nelle cui accademie si sarebbero formati “i più fervidi patrioti”, come Morelli, Salvati, Pisacane, De Sanctis – e dallo Stato Pontificio, la cui classe dirigente avrebbe esercitato l'indiscussa egemonia nella realtà postunitaria, Questo, naturalmente, nonostante l'aperta ostilità di altri, come il Cavour, che era “per lo più occupato a servire gli interessi di altri paesi, prima aiutando i francesi in una guerra contro i russi cui il Piemonte era assolutamente estraneo, poi dandosi molte pene per procurare a monarchi stranieri i favori di nobildonne piemontesi” e che giunse persino a scatenare contro il Regno delle Due Sicilie “un avventuriero uruguaiano”. Tra i nemici dell'unità si cita altresì Silvio Pellico, che dà “con sottile malizia, una immagine talmente deludente del patriota italiano, facendolo apparire alieno dalla violenza e dalla lotta, in definitiva insensibile a qualsiasi passione, timido e pizzocchero” che la lettura delle sue pagine “avrà senza dubbio sottratto legioni di giovani energie alla lotta per la risorgenza”. E non si parli di un'altra “oscura figura di austriacante, il Mazzini, del quale poco riportano le storie, salvo che continuamente organizzava falsi complotti, che di regola venivano stranamente scoperti e sventati, così che i migliori e più generosi patrioti … cadevano nelle mani dell'austriaco e venivano chi ucciso chi imprigionato”.
    Il ragionamento, con tutta evidenza, si dipana sul filo del paradosso, pur se il ruolo del Mazzini – anche a giudicare da rievocazioni recenti dal tono abbastanza encomiastico, come il Noi credevamo di Mario Martone” – può effettivamente indurre in qualche perplessità. L'autore, comunque, respingeva l'intera ipotesi, vedendovi un tipico esempio di “illusione storiografica”, perché le sue ricerche sul campo, a Milano, non gli avevano rivelato alcuna traccia “della situazione barbara, ma politicamente articolata” che una simile storiografia presupponeva. Onde la necessità di ipotizzare qualche fenomeno regressivo, per cui ogni vestigia di quelle articolazioni sarebbe scomparsa, o di supporre che “la comunità di Milano sia restata estranea ai grandi rivolgimenti che impegnavano la penisola”, due supposizioni, a suo avviso, talmente assurde da non poter essere prese in considerazione. Con il che l'autore del Diario minimo esprimeva un punto di vista sulla vita intellettuale della nostra città che forse nel 1961 sarà parso a qualcuno un po' esagerato, ma nella Milano di cinquant'anni dopo, in questo 2011, trova clamorosi e immediati riscontri. Sì da far sperare che di quel vecchio testo qualcuno si ricordi in occasione delle prossime celebrazioni del centocinquantenario del Regno d'Italia.
    Può valere la pena, tuttavia, di chiedersi quali conclusioni trarrebbe un emulo del Dr. Dobu di Dobu (Dobu) da un esame della documentazione disponibile su questi nostri tempi. Forse anche lui vi troverebbe delle testimonianze, più o meno precise, di una qualche articolazione culturale e politica, destinate tuttavia a non trovare conferme empiriche sul campo. Le cronache delle nostre lotte politiche gli parrebbero incomprensibili, vista la desolante omogeneità culturale e ideologica di entrambi gli schieramenti e la scarsa o nulla volontà di cambiare la situazione dimostrata dall'opposizione politica e dalla maggior parte della società civile. Forse finirebbe col concludere che l'Italia degli anni '10 del XXI secolo era governata da un despota malgré lui, da un uomo ormai anziano, che vista l'età raggiunta e le ricchezze accumulate si era accorto di non avere più un vero interesse per la politica e preferiva di gran lunga dedicarsi, nel tempo che gli era ancora concesso, agli ozi e ai piaceri mondani, e se la sua cultura gliene permetteva solo una variante grossolana e volgare non era colpa sua, anzi, sembrava facesse apposta a farsi cogliere in fallo, in compagnie disdicevoli e situazioni imbarazzanti, nella speranza inconsapevole che una crisi definitiva gli togliesse dalle spalle il grave fardello del governo. Una evenienza che, stranamente, quelli che avrebbero dovuto essere i suoi antagonisti politici sembravano fare di tutto per scongiurare, astenendosi con cura da ogni iniziativa che potesse metterlo in imbarazzo, azzuffandosi platealmente tra di loro prima delle scadenze elettorali, mandando in Parlamento torme di deputati venali pronti a vendersi alla controparte e facendo comunque in modo che quelli che non s'erano ancora venduti non partecipassero alle votazioni più importanti. Un paese, in definitiva, più stabile di quanto non sembrasse, in cui le varie fazioni molto gridavano l'una contro l'altra, ma l'una nell'altra fondamentalmente si rispecchiavano.
    Di fronte all'immagine di un tale paese, gli ipotetici antropologi del futuro, non potrebbero far altro che scuotere il capo, compiangendo magari quei cittadini (noi) costretti a subire tanto degrado. Ma l'idea di un tale compianto certo non ci consola. È una vera fortuna per tutti che l'ipotesi, come quella del dr. Dobu di Dobu (Dobu), sia solo di fantasia.
30.01.'11

    Nota

    Il Diario minimo di Umberto Eco è uscito nel “Tornasole” della Mondadori nel 1963. Cito dalla III ed. (1965), pp. 129 ss.