Lingue morte | Davide Garbero

Gialloliva | Trasmessa il: 03/14/2006



Di un autore che giunge in libreria quando è ancora in età scolare è difficile parlare come se fosse uno scrittore qualsiasi, soprattutto se il genere prescelto e l’impostazione della scrittura ci portano, diciamo così, ben lontani dal mondo di una Minou Drouette.  Oltretutto è abbastanza ovvio che gli editori, pubblicando questo Lingue morte di Davide Garbero, diciottenne di belle speranze residente in Fossano, Cuneo, dove frequenta – mi sembra – l’ultimo anno dell’ITIS, intendano giocare quanto più si può sul caso letterario, mettendo nel debito rilievo non soltanto l’età dell’autore, ma il fatto che i racconti che compongono il volume siano stati, a suo tempo, rifiutati con sdegno dalla rivista della scuola.  E sfido io: si tratta di un esercizio così evidentemente programmato e consapevole di scrittura violenta, di un esempio di splatter tanto trucidamene esibito, che qualsiasi preside si sentirebbe tenuto per dovere professionale a ritrarsene con orrore (almeno in provincia: a Milano, dove la categoria è più scafata, ci sarebbe il rischio di veder pubblicato il volume a spese della scuola).  Per cui forse vale la pena, una volta tanto, di prendere sul serio uno dei soliti insopportabili giochi di parole di Andrea G. Pinketts, che osserva, nella breve prefazione, come di un autore esordiente di solito o si gridi al miracolo o si dica, paternalisticamente, che “si farà”, ma che questo esordiente sembra già abbastanza fatto di suo.  Sono, quelle che scrive, delle storie abbastanza tremende di violenza familiare, o – più spesso – di fantasia criminale, una sequela ininterrotta  di eccessi in bilico tra delirio iperrealista e fughe nel surrealismo spinto, in cui si ragiona soprattutto di abusi corporali, schizzi di sangue (e altri fluidi), manipolazioni cadaveriche, membra lacerate, piercing vaginali strappati e chi più ne ha più ne metta, il tutto esibito con autentico entusiasmo e una volontà di presentarsi come autore maudit che fa persino tenerezza.  C’è dell’immaturità in tutto questo?  Be’, sì, in parte un po’ ce n’è, sarebbe futile volerlo negare, nel senso che la violenza della nostra società non si limita a questi aspetti, naturalmente, e il ragazzo a volte si limita a tirar fuori tutto quello che ha dentro con un entusiasmo che, senza alcuna volontà  di offesa, si potrebbe definire masturbatorio e che ogni tanto suona preletterario.  D’altro canto, sarebbe ingiusto archiviare i suoi racconti come un esempio di pura naïveté truculenta: si capisce che sulla scrittura lui ha lavorato parecchio e che il mondo delle sue allucinazioni, comunque, ha una sua autonomia, una paradossale realtà narrativa che vale la pena esplorare.  Tutti questo non basterà, forse, a farne, come auspicano quei bravi giovani della Alacrán, un autore di riferimento generazionale, ma è già un risultato notevole.  Cosa volete che vi dica: per quello che non è fatto, si farà sicuramente.

14.03.’06

Davide Garbero, Lingue morte, "Le Storie" – Alacrán, pp. 115, € 12,80