Mi Ë venuto in mente, due o tre giorni fa, che una delle
poche decisioni politiche del compianto Bettino Craxi su cui mi ero trovato,
a suo tempo, d'accordo era stata quella di abolire la Festa della Repubblica.
Le motivazioni del provvedimento non erano ideologicamente ineccepibili,
risalendo, in ultima analisi, alla volont‡ di aumentare la produttivit‡
togliendo di mezzo, insieme a quella del 2 giugno, un certo numero di festivit‡
infrasettimanali, cioË di far lavorare la gente di pi˘, e non si trattava
neanche di un'abolizione vera e propria, perchÈ la ricorrenza veniva semplicemente
spostata alla prima domenica del mese, ma, insomma, si sa che in Italia
non c'Ë festa senza vacanza (e senza ponte) e l'idea non era stata priva
di effetti benefici. La produttivit‡, forse, non ne aveva tratto
particolare incremento, ma ai cittadini erano state risparmiate per qualche
anno le alluvioni di retorica con cui le autorit‡ sentivano il dovere
di rievocare l'evento. Personalmente, ricordo che trovavo i messaggi
presidenziali pronunciati per l'occasione ancora pi˘ fastidiosi delle
parate militari con cui ci si ostinava a celebrare quella ricorrenza civile.
Non era tanto (o soltanto) una questione di preferenze e capacit‡
personali: la natura stessa della ricorrenza, la necessit‡ di riproporre
sotto un segno in qualche modo unitario il ricordo di una divisione - perchÈ
il 2 giugno del 1946 l'Italia si era divisa in due parti, disuguali, ma
neanche tanto - imponevano il ricorso a discorsi quanto pi˘ possibili
vuoti. Non ricordo che alcun capo dello stato abbia mai colto l'occasione
della festa della repubblica per denunciare le colpe della monarchia e
di chi la aveva rappresentata e continuava a rappresentarla, che sarebbe
stato l'unico modo di onorare una scelta che, in fondo, aveva avuto il
preciso obiettivo di capovolgere l'assetto politico del paese. Del
2 giugno, invece, si Ë sempre preferito parlare come se non segnasse una
frattura, ma incarnasse una continuit‡ e converrete anche voi che per
raggiungere quel risultato di retorica ne serviva parecchia.
Ne serviva e ne serve.
PerchÈ, anche se la rivalutazione (la beatificazione) di Craxi procede
a ritmo accelerato, quella festivit‡ Ë stata ahimË reintrodotta e la relativa
retorica anche. Quest'anno, anzi, il Presidente Ciampi ci ha dato
dentro parecchio. Ha sorvolato anche lui sulla storia e sulla cronaca,
da cui ben poco di buono avrebbe potuto ricavare, e si Ë concentrato molto
sulla "riscoperta di identit‡" e sul "sentimento nazionale
maturo" basato "sulla consapevolezza e sull'orgoglio di essere
italiani". Ha esaltato la Costituzione, "nobile frutto
di quella stagione di straordinaria rinascita che prese la mosse dalla
guerra di Liberazione", tacendo per cortesia sui progetti che su quel
pregevole documento ha il governo in carica, e ha esaltato l'Europa, cercando
di esorcizzare l'esito del referendum in Francia e l'incombere di quello
in Olanda con il principio per cui dopo ogni battuta di arresto c'Ë sempre
un rilancio, che non si capisce bene se sia pi˘ una banalit‡ o una speranza,
ma non Ë certo un'analisi di quanto sta succedendo a quel livello.
D'altronde, le analisi non sono indicate per le occasioni del genere. Una
celebrazione retorica Ë sempre una celebrazione retorica e comporta per
obbligo un certo grado di prevedibilit‡.
L'unica cosa che,
francamente, sarebbe stata difficile da prevedere Ë l'elenco dei mali che
incombono, oggi come oggi, sulla comunit‡ nazionale: quelli contro i quali
il Presidente, con il tono paterno che gli Ë proprio, ha invitato i cittadini,
e in particolar modo i giovani, a reagire. Uno Ë il torpore, il torpore
che si Ë largamente diffuso e che bisogna, ovviamente, scuoterci da dosso.
E fin qui passi, anche se quella del torpore, come categoria politica,
non Ë particolarmente accreditata e se si tratta, come Ë probabile, di
una metafora per alludere alla recessione economica e al disincanto politico,
non sono cose che si possano eliminare con uno scatto di buona volont‡.
Ma l'altro pericolo da cui bisogna guardarsi, secondo Ciampi, sono
le "sottili dispute che consumano la vita quotidiana". E
seguire questa logica Ë davvero pi˘ difficile di quanto non sembri.
PerchÈ, naturalmente,
anche quello delle dispute sottili che consumano la vita quotidiana distogliendo
la gente dai problemi concreti Ë un rispettabile argomento retorico. Si
dsa che mentre a Roma i buoni discutevano Sagunto cadeva in mano ai cartaginesi
cattivi. E i turchi notoriamente hanno preso Costantinopoli perchÈ
i bizantini, invece di occuparsi dell'assedio e delle altre necessit‡
militari, passavano il loro tempo a discutere del sesso degli angeli. Ma,
a parte il fatto che ciascuno - turchi o non turchi - dovrebbe essere libero
di occuparsi di quello che vuole, quello che non si riesce a capire Ë in
che cosa mai possa consistere la sottigliezza delle dispute che affliggerebbero
il nostro paese. CosÏ a guardarsi intorno, non so voi, ma io di sottigliezza
ne vedo pochina. Non c'Ë niente di sottile nelle argomentazioni medie
di Berlusconi, per cui tutto andrebbe bene se non ci fossero i comunisti,
o nella brutalit‡ con cui papa e vescovi sono saltati a piË pari nel piatto
della politica laica, o nella volont‡ degli imprenditori di arraffare
l'arraffabile e stop, o nella ostinazione con cui i leader del centro sinistra
cercano, alla faccia dei loro elettori, di farsi la festa l'un l'altro.
» difficile trovare delle raffinatezze, bizantine o di altro tipo,
nella pretesa di mantenere in un paese in guerra delle truppe in missione
di pace (con l'esito tragicomico di non potere neanche concedere una medaglia
alla memoria dei propri caduti) o nell'arrembaggio preelettorale ai vertici
televisivi. La classe dirigente italiana, in effetti, ha rinunciato
da un pezzo alle raffinatezze formali e opera ormai con una sorta di grossolana
brutalit‡ che avrebbe suscitato qualche commento perplesso persino alla
corte di Attila.
E allora, mi chiederete,
a cosa diavolo avr‡ inteso alludere il Presidente con quella espressione?
Mah? io, se mi Ë concessa un'ipotesi, ho il sospetto che nel
suo pensiero l'aggettivo "sottile" fosse puramente pleonastico
o prudenziale e che ciÚ da cui si intendeva raccomandare di guardarsi fossero
semplicemente le dispute. Come a dire che per uscire dai guai in
cui ci troviamo fino al collo bisogna essere uniti (in linguaggio celebrativo
si dice che Ë necessario "affrontare, confrontandoci, i problemi veri
con la volont‡ di arrivare a soluzioni condivise e tradurle in atti concreti"),
ma tutti, proprio tutti, destra e sinistra, ricchi e poveri, lavoratori
salariati e speculatori finanziari, perchÈ tanto siamo italiani e la Festa
della Repubblica, in realt‡, Ë la Festa della Patria. Che Ë anche
questo un argomento di solida e antica tradizione, ma che continuo a considerare
singolarmente inappropriato. In fondo, se questo modo di pensare
avesse prevalso cinquantanove anni fa, al Quirinale ci sarebbero ancora
i Savoia e non ci sarebbe - per lo meno - niente da festeggiare.
05.06.'06