È abbastanza strano, da un certo punto di vista, che il primo dei quattro
(o cinque) punti su cui il centrodestra, su proposta della Lega, ha ricompattato
la propria unità dopo la celebre Crisi della Maglietta Blasfema riguardi
la “difesa delle radici cristiane dell’Europa”. È strano perché,
pur essendo il problema in sé tutt’altro che irrilevante – basta pensare
a quanto stia a cuore al Papa attuale e lo sia stato al suo compianto predecessore
– nel sistema ideologico che esibiscono i partiti della Casa della Libertà
non c’è poi molto che giustifichi un interesse particolare per le problematiche
religiose. È vero che in quella coalizione – come, d’altronde,
nell’altra – è collocato un partito che rivendica l’eredità della Democrazia
Cristiana, ma il liberalismo a cui fanno tanto spesso riferimento Berlusconi
e i suoi dovrebbe avere, in materia, un atteggiamento neutrale, tanto è
vero che è proprio in nome dei principi liberali che non si è voluto, a
suo tempo, inserire il richiamo a quelle radici nella costituzione europea.
Quanto alla Lega, anche senza voler dare troppa importanza alle sparate
periodiche di Bossi sui “cardinaloni”, per non dire dei matrimoni di
rito celtico e del culto del dio Po, è evidente che il suo localismo
non ha dei gran fondamenti nelle tradizioni cristiane ed è, anzi, piuttosto
in contrasto con la storica predilezione della Chiesa per l’amministrazione
centralizzata. A rigore, quella tematica dovrebbe allignare molto
di più tra le file dell’Unione. In fondo, Prodi è il leader che
tra tutti può vantare il più ampio ventaglio di frequentazioni clericali
e cardinalizie; quelli della Margherita e dell’UDEUR non sono secondi
a nessuno nell’ossequio al magistero ecclesiastico e la spina dorsale
della coalizione è rappresentata comunque da quei DS nel cui genoma non
è certo svaporato il ricordo del “dialogo con i cattolici” di Togliatti
e del “compromesso storico” di Berlinguer. Gli altri, notoriamente,
contano poco. Eppure il tema è saldamente in mano alla destra. Non
sarà un caso se un gran numero di parlamentari e ministri di quello schieramento,
compresi Bondi, Adornato, Schifani, Alemanno, Gasparri, la Letizia Moratti
e il gran capo in persona, hanno sottoscritto un manifesto del Presidente
del Senato che, a quanto si apprende dal “Corriere” di venerdì 24 “annuncia
battaglia contro il relativismo, il pacifismo” e – appunto – “la
perdita del senso religioso”.
La contraddizione è patente, ma si spiega in fretta.
Quel manifesto non nasce certo da preoccupazioni teoriche. Intende
contribuire nientedimeno che alla “riscossa dell’Occidente” e, oltre
a caldeggiare, manco a dirlo, la più stretta collaborazione fra l’Europa
e gli Stati Uniti e la “strenua difesa di Israele”, deplora che troppo
debole sia stata la risposta europea “agli attacchi dei fanatici islamici”.
Che è certamente un modo per accodarsi alle note posizioni aggressive
del presidente Bush, ma ricorda anche da vicino un altro dei punti proposti
dalla Lega ai suoi alleati, quello che, nel quadro di una limitazione dei
flussi migratori, chiede che l’accesso al paese sia “riservato ai lavoratori
dei paesi che riconoscono la reciprocità dei diritti umani, politici e
religiosi”, una proposizione il cui senso è stato riassunto dal noto onorevole
Salvini con la formula “stop all’immigrazione islamica”. Insomma,
non sembra irragionevole pensare che il richiamo alle radici cristiane,
dal punto di vista di chi ci governa, sia più esclusivo che inclusivo,
nel senso che più che definire dei valori cui ci si propone di attenersi,
serve semplicemente a denominare il “nemico”, l’entità da cui ci si
chiede di difenderci (e la miglior difesa, in questi casi, si sa che è
l’attacco) e che dobbiamo comunque tener lontano dai nostri confini. Se
questo significa rinunciare ai (propri) principi laici e cedere alle richieste,
sempre più esose, della chiesa ratzingheriana, be’, questo è un prezzo
che si può pagare senza rimpianti.
La premessa di tutto ciò, naturalmente, sta nel fatto
che dei valori laici di tolleranza, rispetto reciproco, libertà di pensiero
e uguaglianza di trattamento per tutti non importa un granché a nessuno,
a destra come a sinistra. Non sarà un caso se la difesa di questa
tematica è da anni quasi monopolio di un gruppo, come a dire, specializzato,
il cui status marginale è denunciata dalla facilità stessa con cui sa trasmigrare
da uno schieramento all’altro. Nel concreto, si è visto che in Italia
non cade foglia che Ruini non voglia e le prospettive che la situazione
migliori dopo il 9 aprile, chiunque vinca, non sembrano davvero straordinarie.
Un’ultima osservazione e la smetto. Finora nessuno ha sentito il
bisogno di osservare che quella di “radici cristiane” è un’espressione
metaforica e, come tutte le metafore, funziona soltanto nel senso in cui
la si vuol fare funzionare. Come noi parliamo di “radici cristiane
dell’Europa”, altri potrebbero benissimo riferirsi alle “radici europee
del cristianesimo”. E non è un paradosso: quella religione, come
è noto, non è nata in Europa, ma dalla cultura europea è stata rielaborata
a fondo ed è proprio nel nostro continente, in definitiva, che ha assunto
gran parte delle caratteristiche che la contraddistinguono oggi. Fosse
restata un fatto mediorientale, come alle origini, sarebbe tutta un’altra
cosa. Così, rivendicare per sé le radici cristiane significa, in
ultima analisi, volerne escludere gli altri, negando al Cristianesimo stesso
le sue pretese di universalità. Se fossi papa, come diceva Cecco
Angiolieri, di certi zelatori e alleati non mi fiderei più che tanto.
26. 02.’06