Ne avrete più che a sufficienza, suppongo,
di sentir parlare dei fatti del liceo “Parini”, una scuola cui
i giornalisti milanesi hanno sempre concesso troppa attenzione, forse perché
è ubicata a due passi dalla maggior parte delle redazioni e ad andarci
si fa meno fatica di quanta serve per informarsi sui casi degli istituti
di periferia. Saro, vi assicuro, brevissimo. Avrà colpito
anche voi la sproporzione tra la banalità dell’evento e lo spazio che
i media, Radio Popolare compresa, gli hanno dedicato. In fondo, quello
che verte sui tentativi, più o meno riusciti, di rendere inagibile una
scuola per evitare i controlli sulla propria preparazione è un copione
talmente ritrito che è stato utilizzato, se ben ricordo, persino nella
sceneggiatura di un episodio di “Un medico in famiglia” (in cui gli studenti
discoli, mi sembra, provocavano un blocco dell’impianto di riscaldamento).
Nel caso del “Parini”, che, evidentemente, è sfuggito di mano agli
autori, l’unico elemento di interesse specifico (quello che non ha sottolineato
nessuno) è rappresentato dall’incuria delle competenti autorità scolastiche
e cittadine, che, a quanto pare, una volta usciti gli studenti dall’edificio,
sono use abbandonarlo a se stesso e non sentono il bisogno di organizzarvi
un servizio, non dico di sorveglianza, ma nemmeno di pulizia. Se,
a scuola vuota, in quei locali fossero entrati – come sembrerebbe
normale – un paio di operatori con secchio e ramazza non sarebbe successo
niente.
Ma
non è questo, forse, il punto. Il fatto è che in via Goito le devastazioni
sono sempre state all’ordine del giorno. Io ci ho passato gli ultimi
quattordici anni della mia carriera di insegnante, e posso assicurarvi
che l’aspetto generale dell’edificio e delle sue dotazioni, per tutto
quel tempo, è sempre stato oltremodo deplorevole. Scritte sui muri,
superfici imbrattate, banchi sfasciati, serramenti che gridavano vendetta
agli dei e “bagni” in cui una persona ragionevole non si sarebbe lavate
neanche le mani vi erano assolutamente la norma.
Tutto
questo, vi dirò, non mi ha mai stupito più di tanto. Il “Parini”,
si sa, è la scuola dei figli della buona borghesia milanese e, fatte salve
le debite eccezioni, non c’è proprio motivo di supporre che costoro siano
meno vandalici, beceri, egoisti e indifferenti al pubblico bene di quanto
siano, per tradizione, i loro padri. Anche se quel liceo è stato
fondato da Maria Teresa, è da un bel pezzo, credetemi, che la classe dirigente
cittadina non ha più nulla a che fare con l’illuminismo e che la
sua tradizione di impegno civile è soltanto un ricordo. Ai milanesi
bene, oggi, interessa soprattutto il quattrino e la potenza che dal quattrino
deriva. La cosa pubblica, per loro, conta infinitamente meno di quella
privata e comunque la considerano a propria disposizione, un che di cui
usare e abusare a piacimento. Basta guardarsi in giro e vedere come
questa classe dirigente ha conciato la nostra città, come, in nome del
proprio guadagno, ne abbia stravolto la forma, appiattito le tradizioni
e sconvolto il tessuto sociale, arraffando quel tanto che via via poteva
arraffare e lasciando che il resto andasse in malora. E perché diavolo
i loro rampolli dovrebbero rispettare una scuola, per quanto illustre?
Figli dell’arroganza e dell’egoismo, non possono che essere arroganti
ed egoisti. Viziati e irresponsabili, non sanno reagire alle crisi
altro che con irresponsabilità, tanto ci sarà sempre qualcun a pagare i
danni. E se nel caso specifico sembra che a pagare, per ora, siano
le famiglie dei responsabili, in linea generale potete stare sicuri che
a pagare per i disastri che questo tipo di gente produce saremo sempre
e comunque noi.
24.10.’04