Personalmente, non sono mai stato in Islanda, ma mi hanno sempre detto
che è un paese di grande, se pur aspra, bellezza. Quanto a Reykjavík,
prima di leggere La signora in verde, me l’immaginavo come una prospera
e pacifica cittadina nordica, un insieme di graziose villette di legno
intonacate di bianco, non certo come una metropoli tentacolare. In
fondo, con i sobborghi non supera i 180.000 abitanti (meno di Brescia,
per intenderci) e poi il paese ha un indice di sviluppo umano altissimo,
mi sembra il settimo al mondo, ben al di sopra di quello dell’Italia,
il che significa che gode di un diffuso benessere e di un sistema assistenziale
praticamente perfetto. Ma evidentemente questi dati contano fino
a un certo punto, o forse è tutta questione di punti di vista, perché l’immagine
che emerge da questo bel romanzo islandese, di un autore già noto in Italia,
anche se finora me l’ero lasciato sfuggire, è di tutt’altro tipo: è quella
di una terra dura, spietata, di una città che presenta tutti gli aspetti
più sgradevoli della globalizzazione contemporanea e in cui la vita quotidiana
è altrettanto difficile che altrove. Sin dalla prima scena, quella
di una festa di bambini in una casa di periferia in cui un adulto un poco
più attento degli altri si accorge che uno dei piccoli convitati sta ciucciandosi
beatamente un osso umano, si capisce che ben poco ci sarà risparmiato.
L’osso in questione, si scoprirà, proviene da uno scheletro seppellito
nei dintorni e venuto inopinatamente alla luce: un resto di qualche decina
di anni fa, dei tempi duri della guerra e dell’occupazione angloamericana,
quando la prosperità del paese era ancora di là da venire. Non c’è
molto, in realtà, su cui investigare e i pochi agenti della locale squadra
criminale devono far fronte a una quantità di problemi personali – c’è
chi ha delle semplici complicazioni familiari, chi deve affrontare una
crisi esistenziale difficile e chi deve vedersela, senza preavviso, con
una figlia tossica in coma... – ma il quadro generale che emerge dalle
indagini è abbastanza chiaro: vi ci si intrecciano una vecchia storia di
amore rifiutato e una serie interminabile di violenze e sopraffazioni in
famiglia, due vicende angosciose, rese ancora più lancinanti dal clima
di indifferenza in cui si sono svolte, dall’incapacità della maggior parte
di coloro che vi sono stati coinvolti di rendersi conto del dolore dei
protagonisti, come se il gelo di quelle nordiche latitudini si riflettesse
in una società spietatamente formalista, incapace di comprensione e calore
umano. Insomma, un giallo triste da morire, uno dei più malinconici
di cui mi sia capitato di parlarvi da anni. Ma, allo stesso tempo,
un romanzo bellissimo, scabro, teso, costruito attorno a una trama originale
e, soprattutto, raccontato con una straordinaria pulizia e una capacità
di definire i personaggi con pochissimi tratti essenziali che ha del miracoloso.
Sappiamo tutti, ormai, che gli schemi del giallo possono essere applicati
da autori capaci dei livelli di scrittura più alti, ma una conferma come
questa fa sempre piacere.
27.11.’06
Arnaldur Indridason, La signora in verde (Grafarthögn), tr. it. di Silvia Cosimini, "Narratori della fenice" – Guanda, pp. 271, € 14,50