La metafora della fortuna

La caccia | Trasmessa il: 04/30/2000




Avrete notato anche voi, suppongo,  i manifesti pubblicitari di una stazione radio commerciale – nostri concorrenti, in un certo senso, anche se non credo che il target e i servizi offerti possano essere assimilati – in cui nell’augurare agli ascoltatori “tanta, tanta fortuna” si esibisce l’immagine a colori di una giovane donna che protende verso il fruitore uno straordinario paio di natiche: due natiche, se ricordate, così prepotenti, così strettamente inguainate e così esplicitamente e trionfalmente esibite che, anche per motivi di prospettiva, sembrano occupare la totalità della superficie disponibile.  Non essendo un esperto di persuasioni occulte, non saprei dirvi quanto l’accostamento sia proficuo dal punto di vista pubblicitario: in me, personalmente, non ha suscitato alcun desiderio di sintonizzarmi su quelle frequenze, ma io sono un po’ moralista, e poi, per principio, ascolto solo Radio Popolare.  Può darsi benissimo che a chi non è afflitto da pregiudizi del genere quella proposta appaia appetibilissima e di un po’ di fortuna, di questi tempi, abbiamo tutti bisogno.   Ma, certo, qualche perplessità resta lecita.  Per dirne una, il motivo per cui una stazione radiofonica debba augurare buona fortuna ai suoi ascoltatori, illustrando l’augurio con l’immagine di un posteriore eminente, merita, lo ammetterete, di essere in qualche modo indagato.

       Ora, oltre che moralista io sono anche un po’ ingenuo. Mi ci è voluto un certo tempo (e qualche dritta da parte di gente più sveglia di me) per rendermi conto di come il tutto rappresentasse una specie di implicito gioco di parole, fondato sulla nota espressione “aver culo”, nel senso di avere, appunto, fortuna.  Ma alla fine ho afferrato anch’io il meccanismo comunicativo che s’incarnava in quell’immagine.  I nostri colleghi, non potendo augurare ai loro ascoltatori di avere tanto, tanto culo, che non sta bene, gli auguravano tanta, tanta fortuna, illustrando il concetto con quello di una moderna Venere callipigia e lasciando che chi aveva orecchio per intendere intendesse.  Magri ci sarebbe voluto un po’ per arrivarci, ma chi ci fosse arrivato non se ne sarebbe dimenticato mai più.

       L’analisi, noterete risolve brillantemente uno dei due interrogativi, ma ne apre un altro, di natura eminentemente linguistica.  Non so voi, ma io di fronte a quei manifesti mi sono reso conto che di quell’espressione, pur così ampiamente diffusa e universalmente compresa, non conoscevo l’origine.  E i miei tentativi di scoprirla, finora, sono risultati assolutamente vani.  I vocabolari, come sempre, non mi sono serviti a molto: non ho avuto modo di consultare il Battaglia, ma la frase è completamente ignorata dal Devoto Oli e dal Garzanti ed è registrata sub voce soltanto dallo Zanichelli, che la riferisce a “chi ha una gran fortuna, spec. in azioni pericolose, rischiose e sim.”), ma non si azzarda in alcun tentativo di spiegazione.  Il costrutto, in apparenza, è di tipo metaforico, ma se di metafora si tratta deve essere una di quelle che, col tempo, hanno acquisito un’autonomia semantica pressoché totale, perdendo la memoria dell’analogia sulla quale erano state costruite.  E poi il campo è aperto a qualche altra ipotesi.   Potrebbe trattarsi, per esempio, di una formula di tipo consolatorio.  A un augurio di buona fortuna, riferita al futuro o a qualche altro campo di applicazione, si ricorre spesso per consolare chi si trova in qualche afflizione, tipo le spose bagnate o chi perde al gioco.   Analogamente, a chi è afflitto da un deretano antiestetico e sproporzionato, si potrebbe cercare di far animo sostenendo che, in fondo, è tutta fortuna.  Oppure, potrebbe trattarsi di un eufemismo propiziatorio: per non nominare invano la dea bendata, con il rischio di farla allontanare precipitosamente, la si definisce in forma, diciamo così, criptica.   Ma a parte il fatto che gli eufemismi, di solito, hanno un valore più apotropaico che consolatorio, ho l’impressione che entrambe le ipotesi non siano particolarmente convincenti e che, in particolare, la seconda lasci ancora aperto il problema del perché proprio al culo, come elemento di significazione, si sia finiti col ricorrere.  Insomma, sono perplesso e se qualcuno di voi dispone di informazioni precise al riguardo gli sarò grato se vorrà essere tanto gentile da comunicarmele.

       Nessun problema, invece, per il secondo interrogativo, quello che era restato in sospeso.          A chi ha promosso quella campagna pubblicitaria, con tutta probabilità, di augurare buona fortuna ai suoi potenziali clienti non importava affatto. Non ci vuol molto a capire che non ha esibito un sedere per augurare buona fortuna, ma che ha augurato, al contrario, buona fortuna per poter esibire un sedere.  Che quello che gli interessava, nella fattispecie, era disporre di un pretesto qualsiasi per esibire in primo piano quella tal parte anatomica, nella convinzione – giusta o sbagliata – che i bei sederi femminili suscitano, nel pubblico medio, un interesse che può essere sempre capitalizzato ad altri fini, tanto è vero che li si utilizza normalmente per pubblicizzare qualsiasi merce e qualsiasi prodotto.  Che questo significhi fare commercio del corpo umano, o addirittura di parti scelte del corpo umano, non è cosa, con i tempi che corrono, che possa turbare nessuno.  Buona fortuna a tutti, davvero.


30.04.’00