La colpa di stare male

La caccia | Trasmessa il: 01/22/2006



Avrete riconosciuto anche voi, suppongo, il tono con cui il presidente Formigoni ha spiegato giorni fa ai cittadini lombardi come fosse soprattutto compito loro debellare lo smog con quelli che lui ha definito “milioni di gesti virtuosi”.  Sapete: non superare i 22° di riscaldamento in casa e in ufficio; far uso moderato dell’automobile (andare a piedi per i percorsi sotto i due, tre, cinque chilometri, spegnere il motore ai semafori, controllare la velocità e via dicendo); staccare la spina della TV quando la si spegne, non eccedere con i condizionatori, portare sempre il maglione, visto che se ce lo si toglie significa che si sta inquinando, tenersi alla larga dai caminetti e non eccedere con le pizzerie, perché la gente non ha idea di quanto siano inquinanti i fuochi di legna…  Insomma, una serie di paterni consigli, ciascuno dei quali celava un accorato rimprovero per quei conterranei così improvvidi e freddolosi, così alieni dal podismo su strada, così avidi di pizze e calzoni e tanto indifferenti al bene comune da lasciare accesi per tutta la notte i led degli elettrodomestici, senza pensare alla quantità di energia che ogni lucina rossa o verde può consumare.
       Era, in effetti, un tono inconfondibile e lo si poteva identificare anche senza ascoltare direttamente la voce di chi queste massime dispensava.  Era il tono del medico quando ci avvisa che le nostre magagne, grandi o piccole, ce le siamo volute noi, eccedendo nel cibo o nelle bevande o rifiutandoci ostinatamente di fare del moto; quello del professore che spiega che se i suoi alunni, dopo dodici anni di storia dell’obbligo e cinque di superiori, non sanno distinguere un sonetto da un motore diesel, dipende tutto dalla loro scarsa applicazione allo studio; dell’assessore che si ostina a ripetere che i rifugiati dormono per la strada perché si rifiutano con pervicacia di accettare le generose proposte del suo ufficio.  Il tono, insomma, di chi, grazie al potere di cui è di volta in volta investito, trasforma in colpevoli i malati, gli ignoranti, i bisognosi.  È prerogativa del potere, in effetti, distinguere chi è “colpevole” di qualcosa da chi non lo è e se il pio Formigoni, se non altro, può invocare a sostegno dei propri convincimenti in merito il racconto biblico della cacciata dall’Eden, per il quale – appunto – la presenza del male nel mondo si spiega con una colpa originaria, è sempre un po’ strano ritrovare il concetto in contesti che, in teoria, dovrebbero essere un po’ più laici del suo.

       Naturalmente, le cose non sono così semplici e il problema è che in quelle imputazioni c’è almeno una parte di verità.  È vero, per esempio, che la salute dipende molto dallo stile di vita del soggetto, che a frequentare la scuola senza studiare non se ne ricava un gran che e che nelle trattative politiche l’intransigenza sui propri obiettivi, per quanto sacrosanti, può essere controproducente.  È vero, in  sostanza, che in molti casi il disagio e la sofferenza possono essere ricondotti a taluni comportamenti di chi ne è afflitto, che sono, per dirla alla spiccia, “colpa sua”.  E visto che tutti, più o meno, ne siamo consapevoli, in relazione agli altri e persino, talvolta, per quanto riguarda noi stessi, in ciascuno di noi può affiorare la tentazione di dar ragione al Formigoni di turno.

       Il che, tuttavia, è sbagliato.  Perché se c’è una cosa che i Formigoni del mondo sembrano ignorare (o, che, pur non ignorandola, si guardano bene di ammettere) è che nessuna responsabilità altrui li esonererà mai dai doveri che si sono assunti.  Le colpe sono faccende strettamente individuali e non esiste un mercato sul quale scambiarle, nel senso che ciascuno risponde delle proprie puttanate personali e non può pretendere di esserne esonerato sulla base di quelle altrui.  Il politico accusato di rubare non può cavarsela dicendo che tanto lo fanno tutti (ci ha provato il povero Craxi e vedete che fine ha fatto) e per quanto Formigoni possa parlare di caminetti che fumano e di lucine rosse che brillano invano nel buio, finché continuerà a far tagliare boschi per costruire grattacieli e a limitare il blocco del traffico a quelle poche domeniche in cui non da fastidio a nessuno, dalle sue responsabilità di inquinatore supremo non potrà certo sperare di essere assolto.

       Ahimé.  Sullo stesso numero di “Repubblica” in cui leggo l’appello del pio governatore (è quello di giovedì 19, nelle pagine milanesi), trovo un articolo del nostro amico Paolo Hutter che, in sostanza, gli dà ragione, salvo il fatto che gli appelli non bastano e che nulla giova ai comportamenti virtuosi quanto la “presenza di regole stabilite e controllate, con violazioni sanzionate”.  Come a dire che se non si impone qualche buona multa ai riottosi, è inutile sperare che nel corpo sociale nasca spontaneamente qualsiasi virtù.  Che è il punto di vista, mi sembra, tipico di una sinistra giustizialista e penitenziaria, che crede nella coazione almeno quanto dovrebbe avere fiducia nell’organizzazione razionale della società: la stessa sinistra, per intenderci, che invoca il braccio severo della legge come strumento principe di sanatoria sociale e infatti in questi giorni esulta perché il buon Presidente che sta sul Colle ha cassato una legge che a me personalmente sembrava una delle poche ragionevoli prodotte da questo governo, ma aveva il grave difetto di avvantaggiare in qualche modo la difesa nei processi penali.  Ma visto che questa è materia di ieri e non ho avuto modo di rifletterci, converrà ritornarci su una delle prossime volte.  Per ora, non dimentichiamo il maglione e ringraziamo gli dei perché, ogni volta che saliamo in auto per un percorso breve o avviciniamo le palme intirizzite alle fiamme di un caminetto, nostro o altrui, l’unica punizione che ci tocca – per ora – è il senso di colpa (C.O.).


22.01.’06