Avrete riconosciuto anche voi, suppongo,
il tono con cui il presidente Formigoni ha spiegato giorni fa ai cittadini
lombardi come fosse soprattutto compito loro debellare lo smog con quelli
che lui ha definito “milioni di gesti virtuosi”. Sapete: non superare
i 22° di riscaldamento in casa e in ufficio; far uso moderato dell’automobile
(andare a piedi per i percorsi sotto i due, tre, cinque chilometri, spegnere
il motore ai semafori, controllare la velocità e via dicendo); staccare
la spina della TV quando la si spegne, non eccedere con i condizionatori,
portare sempre il maglione, visto che se ce lo si toglie significa che
si sta inquinando, tenersi alla larga dai caminetti e non eccedere con
le pizzerie, perché la gente non ha idea di quanto siano inquinanti i fuochi
di legna… Insomma, una serie di paterni consigli, ciascuno dei quali
celava un accorato rimprovero per quei conterranei così improvvidi e freddolosi,
così alieni dal podismo su strada, così avidi di pizze e calzoni e tanto
indifferenti al bene comune da lasciare accesi per tutta la notte i led
degli elettrodomestici, senza pensare alla quantità di energia che ogni
lucina rossa o verde può consumare.
Era, in effetti, un tono inconfondibile e lo
si poteva identificare anche senza ascoltare direttamente la voce di chi
queste massime dispensava. Era il tono del medico quando ci avvisa
che le nostre magagne, grandi o piccole, ce le siamo volute noi, eccedendo
nel cibo o nelle bevande o rifiutandoci ostinatamente di fare del moto;
quello del professore che spiega che se i suoi alunni, dopo dodici anni
di storia dell’obbligo e cinque di superiori, non sanno distinguere un
sonetto da un motore diesel, dipende tutto dalla loro scarsa applicazione
allo studio; dell’assessore che si ostina a ripetere che i rifugiati dormono
per la strada perché si rifiutano con pervicacia di accettare le generose
proposte del suo ufficio. Il tono, insomma, di chi, grazie al potere
di cui è di volta in volta investito, trasforma in colpevoli i malati,
gli ignoranti, i bisognosi. È prerogativa del potere, in effetti,
distinguere chi è “colpevole” di qualcosa da chi non lo è e se il pio
Formigoni, se non altro, può invocare a sostegno dei propri convincimenti
in merito il racconto biblico della cacciata dall’Eden, per il quale –
appunto – la presenza del male nel mondo si spiega con una colpa originaria,
è sempre un po’ strano ritrovare il concetto in contesti che, in teoria,
dovrebbero essere un po’ più laici del suo.
Naturalmente, le cose non sono così semplici
e il problema è che in quelle imputazioni c’è almeno una parte di verità.
È vero, per esempio, che la salute dipende molto dallo stile di vita
del soggetto, che a frequentare la scuola senza studiare non se ne ricava
un gran che e che nelle trattative politiche l’intransigenza sui propri
obiettivi, per quanto sacrosanti, può essere controproducente. È
vero, in sostanza, che in molti casi il disagio e la sofferenza possono
essere ricondotti a taluni comportamenti di chi ne è afflitto, che sono,
per dirla alla spiccia, “colpa sua”. E visto che tutti, più o meno,
ne siamo consapevoli, in relazione agli altri e persino, talvolta, per
quanto riguarda noi stessi, in ciascuno di noi può affiorare la tentazione
di dar ragione al Formigoni di turno.
Il che, tuttavia, è sbagliato. Perché
se c’è una cosa che i Formigoni del mondo sembrano ignorare (o, che, pur
non ignorandola, si guardano bene di ammettere) è che nessuna responsabilità
altrui li esonererà mai dai doveri che si sono assunti. Le colpe
sono faccende strettamente individuali e non esiste un mercato sul quale
scambiarle, nel senso che ciascuno risponde delle proprie puttanate personali
e non può pretendere di esserne esonerato sulla base di quelle altrui.
Il politico accusato di rubare non può cavarsela dicendo che tanto
lo fanno tutti (ci ha provato il povero Craxi e vedete che fine ha fatto)
e per quanto Formigoni possa parlare di caminetti che fumano e di lucine
rosse che brillano invano nel buio, finché continuerà a far tagliare boschi
per costruire grattacieli e a limitare il blocco del traffico a quelle
poche domeniche in cui non da fastidio a nessuno, dalle sue responsabilità
di inquinatore supremo non potrà certo sperare di essere assolto.
Ahimé. Sullo stesso numero di “Repubblica”
in cui leggo l’appello del pio governatore (è quello di giovedì 19, nelle
pagine milanesi), trovo un articolo del nostro amico Paolo Hutter che,
in sostanza, gli dà ragione, salvo il fatto che gli appelli non bastano
e che nulla giova ai comportamenti virtuosi quanto la “presenza di regole
stabilite e controllate, con violazioni sanzionate”. Come a dire
che se non si impone qualche buona multa ai riottosi, è inutile sperare
che nel corpo sociale nasca spontaneamente qualsiasi virtù. Che è
il punto di vista, mi sembra, tipico di una sinistra giustizialista e penitenziaria,
che crede nella coazione almeno quanto dovrebbe avere fiducia nell’organizzazione
razionale della società: la stessa sinistra, per intenderci, che invoca
il braccio severo della legge come strumento principe di sanatoria sociale
e infatti in questi giorni esulta perché il buon Presidente che sta sul
Colle ha cassato una legge che a me personalmente sembrava una delle poche
ragionevoli prodotte da questo governo, ma aveva il grave difetto di avvantaggiare
in qualche modo la difesa nei processi penali. Ma visto che questa
è materia di ieri e non ho avuto modo di rifletterci, converrà ritornarci
su una delle prossime volte. Per ora, non dimentichiamo il maglione
e ringraziamo gli dei perché, ogni volta che saliamo in auto per un percorso
breve o avviciniamo le palme intirizzite alle fiamme di un caminetto, nostro
o altrui, l’unica punizione che ci tocca – per ora – è il senso di colpa
(C.O.).
22.01.’06