La brutta metafora

La caccia | Trasmessa il: 05/15/2011


    Francesco Merlo ha scritto, su “Repubblica” di martedì 10, che la nota definizione berlusconiana dei magistrati come “cancro della democrazia” corrisponde a “una preparazione psicologica della guerra civile”. Infatti, spiega, “dopo la parola 'cancro' non c'è più spazio per le parole. Cancro è … la parola terminale, fuori dalla civiltà della democrazia, oltre la detestabilità del nemico … Il cancro è una mostruosità da devastare: con il bombardamento chimico, con l'estirpazione, con qualunque mezzo cruento … Con il cancro non c'è tempo di discutere né c'è il tempo di ragionare: bisogna agire e presto.”
    Personalmente, vi confesserò che non sono del tutto d'accordo. O meglio, penso anch'io che il presidente del consiglio avesse in mente, nell'usare quella metafora, qualcosa del genere, ma penso anche che, per una volta nella sua carriera di comunicatore, abbia clamorosamente sbagliato la formulazione. Che per un motivo o per l'altro abbia imboccato una strada che non lo può portare da nessuna parte.
    In fondo, il cancro, come termine evocativo, ha un valore “terminale”, se proprio vogliamo usare quell'aggettivo, soprattutto (o soltanto) per coloro che non ne sono toccati, che lo vivono come una minaccia remota cui si augurano di non essere mai sottoposti. Per chi concretamente lo incontra, la situazione, il più delle volte, si fa diversa. Per lui la parola viene a significare qualcosa con cui bisogna entrare in rapporto e in opposizione, curandosi e affrontando come si può le ordalie che le cure di quel tipo ti impongono: un processo con cui è giocoforza imparare a convivere per una fase più o meno lunga della propria vita. Il che non esclude, naturalmente, che si viva l'esperienza con tutto il disagio, la paura e il dolore del mondo e che non si meriti, quindi, l'implicita manifestazione di indifferenza che l'uso polemicamente metaforico del termine inevitabilmente comporta. Se il nome della malattia che devasta la tua esistenza viene impiegato come metafora offensiva per bollare di infamia dei nemici politici, questo significa che colui che l'impiega non tiene alcun conto del significato emotivo che la parola ha per te, come a dire che di te e del tuo stato poco o nulla gli importa. Lo stesso, naturalmente, si potrebbe dire per chi, riprendendo il motivo, ma cercando di rafforzarne l'effetto, parla di una di quei nemici come di una “metastasi”. Ma quest'ultima è una parola dotta, un termine clinico, il cui uso metaforico, come spesso succede per le forme dotte, è, in un certo senso, sanzionato dall'uso e non suscita, infatti, quell'associazione immediata e quel senso di totale disagio. Evocare il cancro è diverso.
    Un'osservazione, tuttavia, si impone. Il presidente Berlusconi queste cose le sa, o le dovrebbe sapere, benissimo. A lui stesso è capitato, anni fa, di affrontare la minaccia e piegarla, uscendone vincitore. Ma evidentemente l'urgenza polemica in lui è tale da sovrastare qualsiasi considerazione, anche quelle relative alla propria biografia. Forse per questo non si è reso conto che l'utilizzazione polemica del termine, oltre che offensiva, è intimamente sbagliata. Il cancro non è un aggressore, non è un nemico che insidia un organismo per altri versi sano. Quali che siano le sue origini e la sua eziologia – un argomento su cui, com'è noto, abbiamo più dubbi che certezze – rappresenta una forma degenerativa del corpo in cui si manifesta. Quando se ne impiega il nome come metafora sociale si afferma, non si può non affermare, che la società che ne è afflitta è la stessa che lo ha prodotto. Il che comporta l'obbligo di identificare le responsabilità di chi ha contribuito a far sì che quella società sia quello che sia. Tra costoro, nell'Italia di oggi, non si può non annoverare colui che per diciassette anni ne ha dominato la vita politica e parlamentare. Fuori di ogni metafora, se ne potrebbe dedurre che l'uso a fini politici della magistratura – dato e non concesso che davvero si sia manifestato – è figlio naturale del conflitto d'interesse. Ma c'è la par condicio e di queste cose sarà meglio discutere un altro giorno.

    15.05.'11