Una foto a colori in prima pagina su un quotidiano nazionale (nel caso
specifico è “Repubblica” del 24 u. s., ma potrebbe essere davvero qualsiasi
altro). La didascalia ci informa che vi sono raffigurati “Il Presidente
del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il capo dello Stato, Carlo Azeglio
Ciampi”. E infatti sono lì tutti e due, vestiti di grigio, con gli
angoli della bocca debitamente piegati all’ingiù e l’aria solenne che
ben si addice alla posizione di entrambi. L’immagine illustra un
articolo sui loro recenti dissapori in tema di data delle elezioni e scioglimento
delle camere, ma si tratta con ogni evidenza di una foto di repertorio,
scattata in qualche occasione ufficiale. A giudicare dalla posizione
impettita e dagli occhi levati al cielo, si direbbe che i due stiano ascoltando
l’inno nazionale o qualcosa del genere.
Niente di interessante, dunque, salvo che per un
particolare evidentissimo, che pure rischia di passare del tutto inosservato.
Nella foto, di fatto, Ciampi e Berlusconi non sono per niente soli.
In secondo piano, ma ben visibile, c’è una terza persona. Anche
lui doverosamente impettito, con gli occhi levati al cielo e gli angoli
della bocca piegati all’ingiù, tra di loro troneggia un corazziere della
guardia presidenziale.
Be’, direte, niente di strano. Quella foto
sarà stata scattata al Quirinale e al Quirinale, lo sanno tutti, di corazzieri
non c’è scarsità, al punto di poterli considerare, senza alcuna intenzione
di offendere il corpo e i militari che lo compongono, meri elementi
del paesaggio. Se Ciampi e Berlusconi fossero stati fotografati,
che so, sotto un albero o accanto a una scrivania, nessun redattore avrebbe
specificato il particolare in didascalia e altrettanto è successo quando
sono stati ritratti in prossimità di un corazziere.
Giustissimo, naturalmente. Ma ciò non toglie
che, essendo i corazzieri comunque degli uomini, e non essendo gli uomini
alberi o scrivanie, a me quella dicitura abbia fatto un poco impressione.
Ha indotto in me lo stesso vago senso di straniamento che provo,
per fare un altro esempio, quando in TV m’imbatto nell’intervista a qualche
pezzo grosso, colto per strada o in un luogo pubblico. Avrete notato
anche voi che in quei casi l’intervistato è come circondato da certi omaccioni
dall’aria intenta, che si guardano attorno sospettosi senza curarsi di
quello che il soggetto fa e senza che né il soggetto né il giornalista
intervistante si curino di quello che fanno loro. Sono – ovviamente
– le guardie del corpo: personaggi importantissimi nella vita quotidiana
di qualsiasi politico di una certa levatura, ma condannati anche loro a
confondersi nello sfondo, o, visto che farsi scambiare per le palme in
vaso e i riflettori del palcoscenico proprio non gli è possibile, a fare
finta di confondervisi. Una tacita convenzione tra mittenti e destinatari
della comunicazione fa sì che gli uni e gli altri li considerino, a ogni
effetto, assolutamente inesistenti.
Ora, il problema dei criteri con cui definire, in
un’immagine qualsiasi, qual è il soggetto e quale è lo sfondo è notoriamente
cruciale in ogni teoria della percezione, ma non è su questo che
voglio intrattenervi oggi. Potrebbe essere altrettanto interessante
chiedersi quali possano essere gli effetti di questa convenzionale invisibilità
sui personaggi che ne fruiscono.
Mi spiego. Sulla solitudine dell’uomo di potere
sono state scritte migliaia di pagine. Gli antichi parlavano di solitudine
del tiranno, sottolineandone la rischiosità personale, come nel celebre
episodio di Damocle e Dionisio di Siracusa di cui riferisce Cicerone in
un passo delle Tusculanae (V, 61). Il termine oggi ha poco corso
e comunque non può applicarsi, per svariate ragioni, né a Ciampi né a Berlusconi,
né ad alcun altro dei protagonisti della nostra vita politica. Che
infatti soli non sono mai, ma vivono circondati da collaboratori di ogni
tipo (satellites li avrebbero chiamati i classici): corazzieri e guardie
del corpo, appunto, ma anche segretari, portaborse, ghost writers, consulenti,
addetti all’immagine, leccapiedi vari e chissà chi altri. A tutti
costoro si chiede non soltanto di non farsi vedere, per cortesia, ma di
scomparire anche quando sono in piena vista. E se alla relativa convenzione
il pubblico disciplinato si adegua, considerando soli i propri politici
anche quando sono manifestamente in compagnia, non si vede perché non vi
ci si possano adeguare essi stessi. Io, vi confesso, ho avuto spesso
il sospetto che si considerino unici attori di un gioco in cui sono soltanto
dei pur importanti ingranaggi. E siccome da cosa nasce cosa, non
è detto che quella progressiva incapacità di vedere gli altri, quella tendenza,
se mi concedete il termine, alla “invisibilizzazione”, debba limitarsi
al loro immediato entourage.
Torniamo, così, a Berlusconi e Ciampi e al
loro recente scambio di cortesie preelettorali. Dunque, il primo
dichiara, in spregio degli impegni presi, di voler continuare a far danno
in parlamento e sui media per altre due settimane. Il secondo gli
manda a dire, per vie traverse ma a tutti palesi, di non pensarci nemmeno.
“Ah sì?” ribatte il Berlusca e, forte della sua preparazione di
mercante di bazar (mi sembra di ricordare una sua celebre massima sul come
condurre le trattative a livello internazionale: “Ecco qui cammello, adesso
fare vedere soldi”) rilancia, proponendo addirittura di spostare le elezioni
a maggio. “Gulp!” fa il Ciampi impressionatissimo e si affretta
ad accettare la proposta iniziale dell’Uomo di Arcore, quella che prima
gli era così poco piaciuta. Sullo sfondo, i leader del centrosinistra
fanno da coro greco, levando alti lai alla proposta iniziale, salvo decidere
poi, non si capisce perché, che la sua accettazione rappresenta un onorevole
compromesso.
Be’, non sembra anche a voi che difficilmente i
protagonisti di questa farsa non molto decorosa avrebbero avuto il coraggio
di portarla a termine se avessero pensato di agire sotto gli occhi della
nazione? Secondo me, chi fa queste cose la nazione non la vede nemmeno.
Altro che corazzieri e guardie del corpo: per larga parte del ceto
dirigente i veri uomini invisibili siamo noi.
29.01.’06