Se mancano due o tre giorni a Natale, il caldo è sempre più insopportabile
e l’estate si annuncia più arida e opprimente del solito, evidentemente
siamo in Australia o da quelle parti lì, il che può essere interessante,
perché il nuovissimo continente, per quel che ne sappiamo, rappresenta
un modello di quel tipo di società “evoluta”, urbanizzata e con quel
tanto di incertezza valoristica e identitaria in cui il giallo, in teoria,
dovrebbe allignare, per cui ogni volta che arriva qualcosa da laggiù
ci si aspetta chissà che. DI fatto, poi, dall’Australia ci giungono
solo delle variazioni abbastanza futili sui modelli europei e americani,
come i pastiches accademici di Robert Barnard o le esagerazioni
pseudoteologiche di Andrew Masterson, in cui il fatto che il protagonista
creda di essere la reincarnazione di Gesù Cristo non aggiunge molto alla
banalità splatter delle trame. Il fatto è che, mentre altrove
il giallo ha avuto tutto il tempo di sviluppare, nella molteplicità delle
esperienze, una propria cifra stilistica e narrativa, la situazione agli
antipodi è ancora troppo fluida per permettere generalizzazioni a priori.
È per questo che dobbiamo essere grati alla
Marcos y Marcos per aver pubblicato la traduzione di L’uomo Dragon
di Garry Disher, del 1999. L’autore ha esplicitamente dedicato i
suoi quaranta e passa romanzi alla descrizione del South Australia, la
“terra della lana e del grano duro”, il paese in cui grandi città moderne
sorgono in mezzo a immense distese agricole e a pascoli sconfinati, in
un specie di sconcertante guazzabuglio socioculturale ed economico. In
particolare, la serie che ha dedicato all’ispettore Hall Challis, della
polizia della Mornington Peninsula, a sud di Melbourne, rappresenta un
tentativo particolarmente riuscito di utilizzare a quel fine le convenzioni
e gli schemi narrativi del sottogenere procedural. Niente
di straordinario, a prima vista, eh: un gruppo di poliziotti di vario impegno
e moralità, impegnati in una serie di casi e nelle inevitabili interazioni
reciproche a livello personale familiari a qualsiasi cultore di telefilm.
Apparentemente è tutto fin troppo normale: il repertorio varia dall’ispettore
dal volto umano con situazione familiare incasinatissima alla carogna
pura e semplice, dalla madre afflitta dai soliti problemi con la
figlia adolescente alla collega di mezza età che si sorprende a occhieggiare
il bel giovanotto che sta installando l’aria condizionata. Ma quello
dell’Australia del Sud, evidentemente, è un mondo normale solo in apparenza:
le tensioni sono in un qualche modo più forti, gli esiti finiscono con
il risultare più drammatici del previsto. E quel tranquillo angolo
semirurale si scoprirà essere una terra da incubo popolata da vandali,
incendiari, rapinatori, serial killer e altre personificazioni dell’incubo
contemporaneo. Giocando sui due piani della prevedibilità di genere
e della rivelazione choc inattesa, Disher riesce ad attingere una specie
di arbitraria orginalità. L’Uomo Dragon non è un capolavoro,
forse, ma va letto lo stesso
01.12.’05
.
Garry Disher, L’uomo Dragon (The Dragon Man, 1999), tr. it. di Aldo Arduini, "Gli Alianti" – Marcos y Marcos, pp. 313, € 14, 50