Adesso che le elezioni si sono regolarmente svolte, chi ha dato ha dato,
chi ha avuto ha avuto e la Lombardia è stata consegnata, inerme, nelle
mani del pio Formigoni posso finalmente occuparmi di quello che,
a mio avviso, merita il titolo di manifesto cult di questa campagna elettorale.
Mi riferisco, non me ne vogliate, a quello in cui il consigliere
Prosperini, esponente di una “destra del nord” che a volte complode in
“nordestra”, stranissimo neologismo coniato, credo, per indicare il fatto
che il soggetto è passato dalla Lega ad Alleanza Nazionale, si è fatto
raffigurare nelle vesti di un antico guerriero in armatura. Si tratta
di un documento, dal punto di vista iconico, straordinario. Il candidato,
pur senza elmo per ovvii motivi di riconoscibilità, vi figura rivestito
fino al collo di acciaio brunito, come sulla copertina di un romanzo di
fantasy, nell’atto di brandire lo spadone con il quale, in difesa del
cittadino elettore, ha fatto e farà strage di nemici. Ammucchiate
ai suoi piedi, in effetti, giacciono le armature degli avversari, rappresentati,
come specificano appositi cartigli, dalla Clandestinità, dall’Abusivismo,
dai Centri sociali, dalla Criminalità, dal Terrorismo e altre consimili
piaghe. La facciata del Duomo di Milano sullo sfondo non lascia dubbi
sull’ambientazione in terra lombarda della virtuosa ecatombe. Ed
è un peccato che se ne siano viste affisse pochissime copie, di solito
lacerate a opera di oppositori di scarsa tolleranza e pochissimo addentro
i misteri della comunicazione politica, perché se lo fossero avrebbero
capito subito che da una esposizione siffatta la parte prosperiniana avrebbe
tratto più danno che da una battaglia perduta.
A prescindere da questi e altri possibili giudizi
di merito, tuttavia, quel manifesto a me ha quasi fatto tenerezza. Mi
ha ricordato le campagne elettorali di una volta, quando, in assenza di
televisione e talk show, i muri fiorivano di immagini, allegorie e caricature
di ogni tipo e i candidati non affidavano le proprie speranze solo a quegli
insulsi fotocolor che usano oggi, ma a pittoresche raffigurazioni di cosacchi
abbeveranti i cavalli in piazza San Pietro o capitalisti in cilindro con
il segno del dollaro intenti a strappare il pane di bocca a orfani smunti
e vedove macilente. Si vede che il Prosperini (che pure, quanto ad
abuso del fotocolor non scherza) viene anche lui da quegli anni e, tra
i vari spunti allegorici offerti dal repertorio, ne ha scelto uno che anche
allora andava piuttosto forte: quello dell’eroe che uccide il mostro.
Anzi, nel caso, i mostri.
Va considerato, naturalmente, anche il fatto
che il consigliere, nonostante l’apparente rozzezza ideologica, non è
uomo privo di cultura. È un medico, con tanto di specializzazione
– mi sembra – in dermatologia, il che spiega, fra parentesi, la
sicurezza della diagnosi con cui riuscì, anni fa, a infiammare un’assemblea
di partito, annunciando ai convenuti che i comunisti, diciamolo pure, un
po’ puzzano. Diversamente da altri leader nordisti, ha compiuto
studi regolari. Niente di strano, dunque, se ha saputo riallacciarsi
a una tradizione che comincia con il Bellerofonte omerico, prosegue con
Perseo, si cristianizza in San Giorgio e raggiunge il culmine narrativo
nell’episodio ariostesco di Rinaldo e Angelica. Il fatto che, a
differenza della maggior parte dei suoi illustri predecessori, lui faccia
strage di draghi senza nemmeno l’incentivo di una fanciulla da salvare
va solo a suo merito. Agisce esclusivamente per il bene dei suoi
concittadini e come potrebbero, questi, non essergliene grati? Sarà
per questo, suppongo, che lo hanno trionfalmente rieletto.
Tutto ciò può suonare un po’ buffo e forse
vi chiederete perché mi occupi di un personaggio che, per quanto pittoresco,
è considerato di solito espressione di un filone marginale della politica
nazionale e lombarda. Be’, la risposta è fin troppo facile: perché,
forse, quel filone tanto marginale non è. Noi siamo avvezzi a identificare
la destra regionale e cittadina con l’affabilità chiesastica di Formigoni
e la sua pronuncia elegantemente blesa, o i puntigliosi autocompiacimenti
di Albertini, due personaggi che si guarderebbero dall’identificare –
come fa quel manifesto – criminalità e disagio sociale, ma preferiscono
vantarsi della “eccellenza” del sistema lombardo, della sua funzionalità
assistenziale e sanitaria, dell’esemplare solerzia con cui è stato condotto
il restauro della Scala e di altri risultati più o meno fantomatici, ma
sempre ad alto livello di rispettabilità. I Prosperini restano sullo
sfondo a menare la draghinassa, immuni dal sospetto di rendersi vagamente
ridicoli. Ma se poi andiamo a contare voti e seggi, alla fin fine
scopriamo che né il devoto Roberto, che pure ha alle spalle le schiere
cielline, né l’operoso Gabriele, vanto e pupillo della imprenditorialità
lombarda, potrebbero governare senza quel supporto lì, senza i massacratori
di draghi (fittizi) e i propalatori di un’intolleranza che di solito si
colloca al limite del razzismo ma, ogni tanto, rischia di superarlo. E
le tendenze che quel tipo di destra esprime non sono semplicemente folcloristiche
o strapaesane. Sarà certo un caso, da cui non si possono trarre conclusioni
particolari, ma l’immagine dei nemici abbattuti ammucchiati ai piedi del
guerriero di cui dicevamo dianzi, ricorda maledettamente certe foto ricordi
scattate nel carcere di Abhu Graib.
Insomma, le elezioni sono andate bene, probabilmente
in Lombardia non si poteva fare di più e non sarò io, per una volta, a
lamentarmi. Ma stiamoci attenti, perché con certa gente si sa dove
si comincia, ma si può finire davvero male.
10.’04.’05