C’è una scritta in cui da qualche mese mi capita di imbattermi qua e là
nel mio quartiere e che un po’ mi dà da pensare. La si trova, tracciata
a inchiostro nero con un pennarello evidentemente indelebile, presso i
display e le tastiere degli sportelli del bancomat, ma non ha nulla a che
fare, a prima vista, con il sistema bancario e la funzione di quegli strumenti.
Consiste semplicemente di un numero di cellulare, seguito dal messaggio
“Valerio cerca ragazza carina”. Nulla di particolarmente arzigogolato,
dunque, ma è proprio questa sobria essenzialità che mi lascia, francamente,
perplesso.
Vedete, io non dispongo di elementi per stabilire
se quel messaggio vada letto per quello che sembra dire o non si tratti
per caso di un ingegnoso cifrario mediante il quale il rappresentante locale
delle Triadi di Hong Kong comunica alla sua controparte del Cartello di
Medellin che l’attesa partita di droga è arrivata nei termini convenuti,
ma diamo pure per scontato che questa ipotesi sia solo il frutto del tipo
di letture che prediligo e che dietro quella scritta ci sia effettivamente
un Valerio che, desideroso di conoscere una ragazza carina, ha deciso di
rendere pubblico il suo numero di cellulare. Non stiamo neanche a
chiederci perché mai, tra le tanti superfici pennarellabili offerte dall’arredo
urbano, costui abbia scelto proprio quelle degli sportelli del bancomat.
Una volta le scritte del genere, magari espresse in forma più cruda,
le si leggevano all’interno dei pubblici luoghi di decenza, ma adesso
i costumi si sono ingentiliti, di pubblici luoghi di decenza non se ne
trovano più e le apparecchiature del bancomat, nel panorama cittadino,
sono un punto di riferimento buono come qualsiasi altro. Le ragazze
carine, certamente, le frequentano più di quegli altri luoghi. Ma
queste considerazioni, per quanto ragionevoli, non rispondono al problema
fondamentale, che è quello degli argomenti in forza dei quali Valerio pensa
che una ragazza carina qualsiasi, letto il messaggio, debba sentirsi spinta
a mettersi in contatto con lui.
Perché l’autore di quelle comunicazioni, lo
avrete notato, di sé non dice molto. Non accampa doti particolari
o pregi di cui le interessate potrebbero tener conto. Non si vanta
di essere bello o ricco, potente o geniale, di buon carattere o sessualmente
superdotato. Dice solo di chiamarsi Valerio e di disporre di un telefonino.
Altre informazioni, oltre a quella, implicita, di essere uso a frequentare
gli sportelli del bancomat, non sente la necessità di trasmettere.
Be’, rispetto alla finalità dichiarata –
stabilire un contatto con una graziosa controparte femminile – ammetterete
che è un po’ poco. Valerio è un nome rispettabile, di origine classica,
costruito su una radice latina che significa “star bene”, “essere forte”,
come nell’aggettivo “valente”, ma, al pari di tutti i nomi propri, può
piacere o non piacere. Il telefonino ormai ce l’hanno tutti e frequentare
il bancomat, pur garantendo la possibilità di attingere modeste quantità
di contante, non significa poi quella gran disponibilità economica e finanziaria.
Questo Valerio, insomma, dovrebbe essere molto, ma molto ottimista,
per sperare che il suo appello giunga a destinazione ed esibire un ottimismo
di questo genere andrebbe considerato a sua volta un azzardo, perché a
molti potrebbe dar l’impressione di sconfinare nella dabbenaggine.
È molto probabile, quindi, che Valerio non
si aspetti proprio niente e che nessuno sarebbe più stupito di lui se una
ragazza, carina o no, lo chiamasse sul cellulare. Il suo è solo un
S.O.S. lanciato nel vuoto, uno dei tanti messaggi in bottiglia affidati
alle onde dell’oceano ostile dai naufragi malati di solitudine. Come
tanti di noi, Valerio desidera lasciar traccia di sé, dei suoi desideri
e delle sue aspirazioni e anche lui non sa bene come. Fa quel che
può, che non è forse un gran che, ma almeno possiamo riconoscergli una
certa, lodevole discrezione. Se non altro, non fa troppi danni. Non
dà alle fiamme il tempio di Diana a Efeso, non si aggira nei parchi al
crepuscolo coperto solo da un impermeabile da aprire di fronte alla prima
balia con carrozzina di passaggio, non “scende in campo” alle elezioni,
non imbratta di pretenziosi ghirigori le facciate dei condomini ridipinti
di fresco. Non chiede molto (“carina”, ne converrete, è un aggettivo
di bocca buona) e sa che probabilmente non avrà neanche quello, ma non
ha resistito alla tentazione di lasciarne, in qualche modo, testimonianza.
C’è una bella poesia di Borges, che purtroppo
non sono in grado di citarvi alla lettera, rivolta all’anonimo autore
di un epigramma dell’Antologia Palatina. Di tanti altri uomini del
passato, dice il grande letterato argentino, conosciamo le imprese e le
magnanime gesta, sappiamo dei loro gusti e delle loro idee, condividiamo
le speranze e i progetti con i quali hanno affrontato il mondo. Di
lui invece, dello “ignoto amico” che ha scritto l’epigramma, sappiamo
soltanto che una sera ha udito cantare l’usignolo. Il che non ci
impedisce, naturalmente, di sentirci vicini a lui.
Ecco, in un certo senso anche quel Valerio
è un ignoto amico cui possiamo sentirci vicini. Auguriamogli di cuore
che, presto o tardi, la ragazza della sua vita lo chiami sul cellulare
e che vivano insieme felici e contenti.
21.05.’05