L’arte di arrangiarsi

La caccia | Trasmessa il: 01/29/2006





Non so quanti di voi ricordino quel vecchio film che si intitolava Arrangiatevi!  Diretto da Mauro Bolognini nel 1959, interpretato da Totò, Peppino De Filippo, Vittorio Caprioli, Franca Valeri e una folla di bravissimi caratteristi, era dedicato al tema, allora abbastanza spinoso, dell’abolizione delle case chiuse.  Peppino vi interpretava la parte di un onesto callista, che, dilapidati i suoi risparmi scommettendo sulla elezione del papa, è costretto a trasferire la numerosa famiglia in un ex lupanare, ma non ha il coraggio di spiegare la situazione alla moglie e alle figlie; Totò era il vecchio suocero, che dopo un paio d’ore di commedia degli equivoci, tiene uno strepitoso comizio al balcone per spiegare a certi militari vogliosi e ai connazionali tutti che i tempi sono cambiati e in tema di  sessualità extraconiugale bisogna, appunto, arrangiarsi.   Un piccolo capolavoro, in realtà, una felice mescolanza di spirito neorealista e commedia all’italiana, ma all’epoca la censura vi trovò qualcosa da dire e ancor oggi è uno dei film di Totò che capita più comunemente di rivedere.

      La sua lezione, in compenso, è largamente sopravvissuta.  Le case di tolleranza sono un ricordo lontano dell’inconscio collettivo, almeno speriamo, ma l’invito ad arrangiarsi continua a risuonare nelle sedi più disparate.  I nostri concittadini, tanto per dire, hanno avuto agio di ascoltarlo dalla bocca dei pubblici amministratori in occasione della recente nevicata.  Non proprio in quei termini, forse, in toni un po’ più sommessi di quelli cari al principe De Curtis, ma è difficile negare che le considerazioni del sindaco sul prezzo insostenibile degli interventi (500.000 euro ogni centimetro di neve, pensate) e quelle del suo vice sulla necessità di una “sinergia con i portieri e i condomini privati”, perché “il Comune non può pulire da solo 4.000 chilometri di marciapiedi”, esprimessero un invito del genere.  E di fatto, nell’immane casino in cui la neve ha trasformato l’orgogliosa città, i milanesi hanno dovuto arrangiarsi.

      In un certo senso, non si può fare a meno di compatirli, gli Albertini, i De Corato, i Formigoni e tutti gli altri.  Avevano tanto sperato in una bella nevicata, che abbattesse fumi e polveri sottili e li esentasse dalla necessità di impopolari provvedimenti contro l’inquinamento (il presidente della regione se l’era persino presa con i metereologi, che l’avevano prevista invano) e quando la neve alla fine è venuta li ha gravati di altre, indesiderate, responsabilità, a dimostrazione di come della natura decisamente non ci si possa fidare.  Il concetto, si sa, non è nuovo, è ben noto alla cultura moderna, da Francesco Bacone al Leopardi, ma è improbabile che con questo genere di autori i nostri abbiano dimestichezza.  Che tra gli scopi della politica sia anche quello di organizzare la comunità in modo da permetterle di resistere alle difficoltà ambientali non è idea che possa sfiorargli la mente.  La città è ricca, anche se il comune ha i suoi problemi, ma per loro le risorse – poche o tante che siano – devono essere riservate a progetti di ben più alta visibilità e redditività che non la manutenzione delle strade e dei tram: la nuova Scala farlocca, i grattacieli alla Fiera, quello della Regione, gli annessi parcheggi sotterranei: tutte cose che pur rappresentando dei discreti scempi urbanistici saziano la volontà di grandezza di chi pure ha avuto il coraggio di paragonarsi all’operosa categoria degli amministratori di condominio.  Incapaci di afferrare il concetto di servizio pubblico, prostrati in adorazione perenne davanti al vitello d’oro del profitto, gli amministratori milanesi si trascinano (ci trascinano) da un’emergenza ambientale all’altra, nella serena fiducia che a proteggersi dalla calura estiva o dai geli invernali debbano pensarci, a proprie spese, i loro amministrati.  E quelli che certe spese non se le possono permettere, appunto, si arrangino.

      Non è un problema di contrapposizione tra imprenditorialità e vocazione sociale, e non si tratta nemmeno della vecchia dicotomia tra pubblico e privato (che pure ha dimostrato di mantenere, al di là delle frettolose archiviazioni, una certa sua solida consistenza).  È un problema più generale di cultura e di conoscenze.  Chi ha scelto di governare esclusivamente nell’interesse di certi gruppi sociali, quelli cui personalmente appartiene o di cui si è messo al servizio, decide di limitare a priori i parametri cui attenersi.  Certe cose, semplicemente, non gli interessano: non le vede.  Se l’inquinamento sale, consiglia di passare il week end fuori città, se i tram non funzionano raccomanda l’uso del taxi e se tutto questo rischia di ricordare a qualcuno la famosa battuta di Maria Antonietta sul pane e sulle brioches non se ne preoccupa perché, essendo in genere ignorante come una capra su Maria Antonietta ha delle cognizioni piuttosto vaghe.  Ora, non dico che per le cariche pubbliche sia necessario scegliere degli intellettuali, ma permettetemi un consiglio: quanti si apprestano a partecipare, proprio oggi, alle primarie dell’Unione, si accertino prima di votare che il candidato di loro scelta sappia che d’inverno, talvolta, nevica.


29.01.’06