L’argomento per eccellenza

La caccia | Trasmessa il: 05/14/2006





Sarà l’avanzare dell’età, con la perdita di prontezza mentale che inevitabilmente comporta, o una certa mia innata riluttanza ad adeguarmi ai nuovi linguaggi e ai nuovi modelli culturali, ma vi confesso che è da un po’ che con la pubblicità mi trovo a disagio, specie con quella televisiva.   Ci sono degli spot che, com’è o come non è, proprio non riesco a capire.  Certe volte mi sorprendo a seguire a occhi sbarrati la pubblicità di una merendina o quella di un fissativo per dentiere, tanto per citare due categorie merceologiche tranquille, che non dovrebbero presupporre un target particolarmente sofisticato, e mi chiedo, con sincera perplessità, “Ma cosa vuol dire?”   Sì, uno di quei due arzilli signori porta la dentiera e l’altro no, d’accordo, ma a me, scusate, cosa ne importa?  La tale barretta contiene pandispagna, latte e nocciole, non ne dubito, ma, santo cielo, che altro dovrebbe mai contenere?  E perché si suppone che l’esempio di quella bella ragazza abbronzata mi possa spingere a utilizzare un ammorbidente per la lana piuttosto che un altro?  Non parliamo, poi, di quando il messaggio riguarda degli articoli considerati tali da caratterizzare uno stile di vita, come, per dire, le automobili e i telefonini: allora l’impiego di un linguaggio ai limiti dell’enigmaticità pura sembra praticamente d’obbligo ed è da tempo che ho rinunciato a interpretarlo.

      È per questo, vedete, che ho accolto con genuino entusiasmo (e, va detto, con un certo sollievo) l’apparizione di quello spot in lode di una tintura per capelli che, senza dubbio, avrete notato anche voi sui vostri teleschermi.  Sapete, quello in cui c’è un giovanotto al ristorante con la bellona di turno e la sua voce fuori campo spiega che mai, fino a pochi giorni prima, avrebbe osato proporre una cena a una ragazza del genere, perché aveva (lui, non lei) troppi capelli grigi, ma poi ha scoperto il prodotto in questione –  infatti lo vediamo in dissolvenza mentre si fa devotamente lo shampoo –  e come inevitabile risultato non solo la cara giovane ha accettato l’invito, ma, sulla soglia di casa, al momento di quello che dovrebbe essere il bacino della buonanotte, si volta con aria malandrina, valuta mentalmente le sfumature di  colore della sua chioma e gli chiede “Vuoi entrare?”  E sullo schermo, come la sigla finale di un technicolor degli anni ’50, si imprime il logo della specialità capace di produrre su entrambi tali mirabili effetti.

      Se li produca sul serio, proprio non vi saprei dire, visto che età e stato civile mi tengono abbastanza lontano da simili problematiche.   E pur se dai capelli grigi non posso considerarmi altrettanto immune, non sono neanche in grado di giudicare l’efficacia di quella lozione al fine di ripristinarne la tinta originaria.  Ho sempre condiviso, personalmente, il parere di quel personaggio di Woodehouse per cui la canizie prevede una sola cura efficace, l’ha inventata un francese due secoli fa e la chiamano ghigliottina.  E poi non è questo, naturalmente, il problema.  Quello che trovo veramente suggestivo, che immagino troverete straordinario anche voi, è il fatto che un messaggio pubblicitario elaborato agli albori del ventunesimo secolo continui a impiegare un’argomentazione implicita che risale per lo meno alla metà di quello precedente, quando, ricordo, a noi maschi si prometteva il più ampio successo con le signore, a patto che usassimo una certa marca di brillantina.  Che può sembrare, certamente, un problema da poco, ma pensate a tutto quello che implica in termini di ruoli e a tutto quello – soprattutto – che nel frattempo è successo: le trasformazioni del costume, la crisi della famiglia, la rivoluzione sessuale, gli hippy, la pillola, Woodstock, il ’68, il femminismo, l’autocoscienza, l’edonismo reaganiano, le lotte, i Pacs, gli anatemi papali e chi più ne ha più ne metta.  Siamo stati in parecchi a credere, con maggiore o minore entusiasmo, che da questo punto di vista il mondo, almeno il nostro mondo, almeno l’Occidente “laico” ed “evoluto”, fosse un poco cambiato, che alle nuove generazioni potesse venir risparmiato quel micidiale gioco delle parti che ci avevano trasmesso i nostri patriarcali antenati.  Invece niente: c’è ancora qualcuno, gente che presumibilmente ci ha pensato su, che ci ha investito tempo, fatica e impegno professionale e crede in tutta evidenza che il sesso sia ancora l’argomento per eccellenza nell’esortazione ai consumi, come dire che abbia ancora essenzialmente una funzione di scambio, quella per cui lui si tinge i capelli, lei gliela dà e tutti corriamo in massa a comprare il relativo prodotto.  Un tipo di concatenazione valoristica che, nel caso, salta subito agli occhi, perché si tratta di un messaggio di tipo piuttosto corrente, a budget limitato e di non eccelse ambizioni, che gioca la propria scommessa argomentativa su una proposta di transazione troppo manifestamente ineguale, ma chissà se, a cercarla, non salterebbe fuori anche altrove.  Il mercato è il mercato e ci siamo dentro tutti, per vendere, per comperare e per essere venduti e comprati.


14.05.’06