Sarà l’avanzare dell’età, con la perdita di prontezza mentale che inevitabilmente
comporta, o una certa mia innata riluttanza ad adeguarmi ai nuovi linguaggi
e ai nuovi modelli culturali, ma vi confesso che è da un po’ che con la
pubblicità mi trovo a disagio, specie con quella televisiva. Ci
sono degli spot che, com’è o come non è, proprio non riesco a capire.
Certe volte mi sorprendo a seguire a occhi sbarrati la pubblicità
di una merendina o quella di un fissativo per dentiere, tanto per citare
due categorie merceologiche tranquille, che non dovrebbero presupporre
un target particolarmente sofisticato, e mi chiedo, con sincera perplessità,
“Ma cosa vuol dire?” Sì, uno di quei due arzilli signori porta
la dentiera e l’altro no, d’accordo, ma a me, scusate, cosa ne importa?
La tale barretta contiene pandispagna, latte e nocciole, non ne dubito,
ma, santo cielo, che altro dovrebbe mai contenere? E perché si suppone
che l’esempio di quella bella ragazza abbronzata mi possa spingere a utilizzare
un ammorbidente per la lana piuttosto che un altro? Non parliamo,
poi, di quando il messaggio riguarda degli articoli considerati tali da
caratterizzare uno stile di vita, come, per dire, le automobili e i telefonini:
allora l’impiego di un linguaggio ai limiti dell’enigmaticità pura sembra
praticamente d’obbligo ed è da tempo che ho rinunciato a interpretarlo.
È per questo, vedete, che ho accolto con genuino
entusiasmo (e, va detto, con un certo sollievo) l’apparizione di quello
spot in lode di una tintura per capelli che, senza dubbio, avrete notato
anche voi sui vostri teleschermi. Sapete, quello in cui c’è un giovanotto
al ristorante con la bellona di turno e la sua voce fuori campo spiega
che mai, fino a pochi giorni prima, avrebbe osato proporre una cena a una
ragazza del genere, perché aveva (lui, non lei) troppi capelli grigi, ma
poi ha scoperto il prodotto in questione – infatti lo vediamo in
dissolvenza mentre si fa devotamente lo shampoo – e come inevitabile
risultato non solo la cara giovane ha accettato l’invito, ma, sulla soglia
di casa, al momento di quello che dovrebbe essere il bacino della buonanotte,
si volta con aria malandrina, valuta mentalmente le sfumature di colore
della sua chioma e gli chiede “Vuoi entrare?” E sullo schermo,
come la sigla finale di un technicolor degli anni ’50, si imprime il logo
della specialità capace di produrre su entrambi tali mirabili effetti.
Se li produca sul serio, proprio non vi saprei dire,
visto che età e stato civile mi tengono abbastanza lontano da simili problematiche.
E pur se dai capelli grigi non posso considerarmi altrettanto immune,
non sono neanche in grado di giudicare l’efficacia di quella lozione al
fine di ripristinarne la tinta originaria. Ho sempre condiviso, personalmente,
il parere di quel personaggio di Woodehouse per cui la canizie prevede
una sola cura efficace, l’ha inventata un francese due secoli fa e la
chiamano ghigliottina. E poi non è questo, naturalmente, il problema.
Quello che trovo veramente suggestivo, che immagino troverete straordinario
anche voi, è il fatto che un messaggio pubblicitario elaborato agli albori
del ventunesimo secolo continui a impiegare un’argomentazione implicita
che risale per lo meno alla metà di quello precedente, quando, ricordo,
a noi maschi si prometteva il più ampio successo con le signore, a patto
che usassimo una certa marca di brillantina. Che può sembrare, certamente,
un problema da poco, ma pensate a tutto quello che implica in termini di
ruoli e a tutto quello – soprattutto – che nel frattempo è successo:
le trasformazioni del costume, la crisi della famiglia, la rivoluzione
sessuale, gli hippy, la pillola, Woodstock, il ’68, il femminismo, l’autocoscienza,
l’edonismo reaganiano, le lotte, i Pacs, gli anatemi papali e chi più
ne ha più ne metta. Siamo stati in parecchi a credere, con maggiore
o minore entusiasmo, che da questo punto di vista il mondo, almeno il nostro
mondo, almeno l’Occidente “laico” ed “evoluto”, fosse un poco cambiato,
che alle nuove generazioni potesse venir risparmiato quel micidiale gioco
delle parti che ci avevano trasmesso i nostri patriarcali antenati. Invece
niente: c’è ancora qualcuno, gente che presumibilmente ci ha pensato su,
che ci ha investito tempo, fatica e impegno professionale e crede in tutta
evidenza che il sesso sia ancora l’argomento per eccellenza nell’esortazione
ai consumi, come dire che abbia ancora essenzialmente una funzione di scambio,
quella per cui lui si tinge i capelli, lei gliela dà e tutti corriamo in
massa a comprare il relativo prodotto. Un tipo di concatenazione
valoristica che, nel caso, salta subito agli occhi, perché si tratta di
un messaggio di tipo piuttosto corrente, a budget limitato e di non eccelse
ambizioni, che gioca la propria scommessa argomentativa su una proposta
di transazione troppo manifestamente ineguale, ma chissà se, a cercarla,
non salterebbe fuori anche altrove. Il mercato è il mercato e ci
siamo dentro tutti, per vendere, per comperare e per essere venduti e comprati.
14.05.’06