Sempre in tema di irrilevanza, non vi sarà sfuggito, spero,
lo strillo di prima pagina del “Corriere” di mercoledì 17, che si chiede,
con una certa drammaticità, “Che cosa hanno in comune la formazione
dell’Ajax di Brujiff e i nomi dei re birmani?” per rispondersi subito
dopo, senza neanche dare al lettore il tempo di pensarci su, che non hanno
in comune niente. Sbagliando di grosso, si capisce, perché tra quei
due insiemi di stringhe alfanumeriche (come si dice oggi) di cose in comune
se ne possono trovare parecchie, a partire dal fatto che sono, ovviamente,
due elenchi di nomi propri e di nomi propri che a certi gruppi di persone
vanno considerati tutt’altro che indifferenti. Non è il caso di
obiettare che non c’è nulla in comune tra i tifosi dell’Ajax e gli specialisti
di storia birmana. Intanto non è detto. E poi i nomi dei giocatori
della nota squadra olandese potrebbero, in determinate circostanze, diventare
materia di analisi storica non meno di quelli dei bellicosi sovrani di
Myanmar.
Il fatto è, come si scopre andando, come da istruzioni,
a pagina 36, che il “Corriere” trae i due esempi da un libro che, a quanto
pare, ha conosciuto in libreria strepitose fortune: lo Schott’s Original
Miscellany, che, pubblicato in Gran Bretagna nel 2002, ha venduto oltre
un milione di copie più il sequel e, tradotto oggi in italiano come L’originale
miscellanea di Schott, dovrebbe, nelle speranze degli editori, giungere
quanto più vicino possibile a quel successo. Capirete, mettendo a15
euro un volumetto di 162 pagine si possono fare dei bei quattrini. E
molti, infatti, ne ha fatti l’autore, tale Ben Schott, appunto, che ha
avuto l’idea di raccogliere e registrare un elenco di informazioni considerate,
dice il recensore, del tutto irrilevanti, come a dire tali da non interessare
assolutamente a nessuno. Tra i molti altri esempi forniti, figurano
la composizione del menù di prima classe servito sul Titanic la sera del
naufragio, il nome del cavallo di re Artù, la lunghezza minima della corda
utilizzabile nei campionati di tiro alla fune e il numero di giorni necessari
alla gestazione di uno yak, che deve essere (credo, ma non ci giurerei)
un qualche tipo di ruminante asiatico. E così via.
Premesso che non deve
essere irrilevante il fatto che il giornale che ci dà (in prima pagina!)
la preziosa notizia faccia capo allo stesso gruppo editoriale che pubblica
la traduzione, non resta molto altro da fare che compiacersi per l’ingegno
(?) e la fortuna dell’abile Schott. Inutile e vano è sperare che
il mercato librario in questa stagione si orienti verso prodotti più seri.
Siano o non siano destinati ad avverarsi i voti editoriali, è poco
ma sicuro che, quest’anno sotto Natale, si venderanno più copie dell’Originale
miscellanea che esemplari della Critica della ragion pura.
E questo, in fondo,
non è neanche il problema più grave, visto che da un certo punto di vista
Kant completamente innocuo non è. Il guaio è che non lo è neanche
la miscellanea in questione. Che non è, stando almeno all’articolo
di cui, soltanto una bizzarria editoriale, una delle tante puttanate che
arrivano ogni giorno in libreria e di fronte alle quali il saggio si limita
a scuotere il capo in segno di rassegnata deprecazione. Se davvero
contiene quel materiale ed esibisce quei criteri di scelta, si tratta,
credete a me, di un libro pericolosissimo.
Lo è, innanzi tutto,
perché si fonda su presupposti manifestamente falsi. evidente
che quelle relative alla composizione del menù di prima classe della notte
dell’iceberg, al nome del cavallo di re Artù, alla lunghezza della fune
da tirare negli appositi campionati e alla durata in giorni della gestazione
di una yak, per non dire della formazione dell’Ajax e della lista dei
re birmani, non sono affatto informazioni irrilevanti per tutti. Sono
dati preziosi, a seconda dei casi, per lo storico, il tifoso, il veterinario,
l’atleta e lo studioso di folclore anglo-celtico. Sapere che la
notte del 14 aprile 1912 i passeggeri di prima classe di quel celebre e
sfigatissimo transatlantico si accingevano, prima di inabissarsi, a consumare
ostriche e consommè Olga, filet mignon Lili, sauté di pollo con lyonnaise,
agnello alla salsa di menta, anatra arrosto con salsa di mela, paté di
foie gras, eclairs di cioccolato e vaniglia e gelato francese è fondamentale
per chiunque si occupi di economia politica del primo ‘900, degli usi
e costumi delle classi dirigenti durante la belle époque e, in genere,
dell’ingordigia come caratteristica principale del ceto abbiente. E
se è vero che tutte queste categorie di persone rappresentano gruppi minoritari,
i cui interessi non coincidono con quelli delle larghe masse di lettori,
è anche vero che i limiti tra le competenze specializzate e la cosiddetta
“cultura generale” sono meno netti e definibili di quanto si pensa di
solito e non sono comunque mai tali da rappresentare un ostacolo all’esplicarsi
della circolazione delle idee, un grande fenomeno cui non si sottraggono,
in un modo o nell’altro, nemmeno i fautori o i detrattori dell’Ajax o
di altre formazioni sportive.
Perché l’interesse,
stringi stringi, è un valore e i valori – si sa – non stanno mai nelle
cose, ma ce li mettiamo inesorabilmente noi. Sostenere il contrario,
ipotizzare un universo di fatti, eventi e procedure rilevanti o irrilevanti
in sé, dotati di un valore che si può soltanto recepire passivamente, per
cui certe cose devono stare a cuore a chiunque e di certe altre non può
interessarsi nessuno, significa prevedere un mondo di soggetti passivi,
di ebeti medi, di boccaloni incapaci di pensare con la propria testa e
pronti a subire, a proprio rischio e pericolo, qualsiasi fascinazione.
Il signor Schott, naturalmente, non ha di questi propositi, lui scherza
soltanto e i suoi editori, dopo tutto, fanno il loro mestiere, ma se qualcuno
dovesse decidere di farsi annoverare sua sponte in quella categoria al
fine di arricchire l’uno e gli altri, naturalmente è libero di farlo,
ma non si venga a lamentare, dopo.
21.11.’04