Interferenze

La caccia | Trasmessa il: 11/21/1999



Spero che non abbiate niente in contrario se, contrariamente al solito, torno su un argomento di cui ci siamo occupati soltanto un paio di settimane fa.  Ma dopo aver letto, sul “Corriere” di mercoledì scorso, la dichiarazione con cui l’ambasciatore egiziano all’ONU, tale Ahmad Aboulghait, commentava la capitolazione europea in sede di Nazioni Unite sulla moratoria delle esecuzioni capitali, proprio non ne posso fare a meno.
        Non vi preoccupate, comunque.  Non intendo rovinarvi la domenica mattina discettando sulla pena di morte.  È un argomento, quello, su cui ho da tempo rinunciato a discutere, dopo aver verificato l’impossibilità di trovare un interlocutore che, in difesa di quella barbara usanza, potesse accampare degli argomenti sia pur vagamente razionali.  Con gli anni mi sono reso conto che la difesa della pena capitale, come la portano avanti singoli e istituzioni, non ha in sé niente di razionale.  È la pura e semplice espressione delle pulsioni di morte che tutti nascondiamo al livello profondo della nostra psiche.  In altre parole, mi sono convinto che i fautori della forca, della sedia elettrica o di quant’altro, quando non si tratta di governi preoccupati soprattutto della propria autorità, sono soltanto dei poveri esseri umani cui uccidere un altro essere umano, in proprio o per interposta persona, alla fin fine piace moltissimo e che cercano di ingannare il proprio Super io, che ha sviluppato, in merito, delle opinioni diverse, affermando di farlo per la giustizia.  In definitiva, per usare un termine tecnico della sociologia, si tratta di una manica di bastardi cui non possiamo che augurare di farsi essi stessi quel male che godono nell’infliggere ad altri.
        Non ho capito bene come sia andata esattamente la vicenda del mancato voto sulla moratoria all’ONU.  Se non ho preso un abbaglio completo, i paesi europei che avevano presentato la proposta l’hanno ritirata dopo aver verificato l’impossibilità di farla approvare, a meno di accettare un paio di emendamenti (dell’Egitto e di Singapore, mi sembra) che, affermando il diritto dei singoli paesi di non accettare dalle Nazioni Unite ingerenze di nessun tipo, in pratica ne avrebbero vanificato gli effetti.  Su questa scelta europea, naturalmente, si possono esprimere giudizi diversi, vedendola come un’inutile, astratta manifestazione di integralismo umanitario oppure, se si preferisce, come la sagace decisione di chi si è stancato di votare solennemente delle petizioni di principio che lasciano esattamente il tempo che trovano.  Certo, anche le petizioni di principio sono necessarie, a volte, ma la storia dell’ONU ce ne ha inflitto tante da stomacarci un po’.
        Mi direte, forse, che anche il punto di vista dell’Egitto e di Singapore, tutto sommato, lo si può capire.  La proposta di moratoria veniva da un gruppo di paesi occidentali e la vicenda del Kosovo ha insegnato a tutti che cosa ci si può aspettare dalle ingerenze dell’Occidente, anche se compiute in nome dei più nobili principi umanitari.  Ma ammetterete che fa un certo effetto leggere che l’ambasciatore egiziano ha esaltato il risultato ottenuto (quello, in pratica, di non far passare moratorie di nessun tipo, per cui ogni paese potrà continuare a far fuori i propri devianti in piena serenità) come una vittoria della civiltà e della tolleranza.  “Per una società islamica come la nostra” ha detto “il rispetto delle differenze culturali è fondamentale.  Ci siamo trovati contro una coalizione di Paesi ricchi che cercavano di imporci i propri valori.  Come se in virtù del proprio benessere si sentissero legittimati a imporsi sui meno fortunati.”
        Ora, credo che si possa pacificamente convenire che i governanti della maggior parte dei paesi proponenti, se non di tutti, meritano a pieno titolo l’inclusione  nella categoria dei bastardi di cui sopra.  Ma nessuno ignora che nel Terzo Mondo i paesi islamici, per non dire degli altri, dal ricco Occidente hanno tranquillamente assunto, quando ai loro governanti faceva comodo, valori e istituzioni a manetta: dal nazionalismo allo sfruttamento industriale, dal disprezzo per l’ambiente al prestito a interesse, pratica che è espressamente vietata dal Corano, ma siccome prendere quel divieto sul serio renderebbe impraticabile l’intero sistema bancario, allora chi se ne frega.  Ma a quanto pare, quando si tratta del diritto di accoppare liberamente i propri sudditi, quei devoti credenti non accettano lezioni da nessuno.
        Già.  Ma perché dicevo che dell’argomento ci siamo già occupati da poco?  Be’, perché il problema è lo stesso di quello del chador: è quello di come reagire quando qualcuno avanza la pretesa, in nome della propria specificità culturale, di opprimere liberamente qualcun altro.  Il fatto che non sia giusto bombardarlo (il che peraltro succede, come abbiamo visto, solo quando per bombardarlo ci sono ben altri motivi) non significa che bisogna aiutarlo a fare il comodo suo.
        Tutto, d’altronde, si tiene.  Sulla stessa pagina di giornale che riportava le parole dell’ambasciatore egiziano, si riferiva dell’avvenuta esecuzione in pubblico, in Afganistan, della condanna a morte di una donna.  Era, sembra, la prima volta che succedeva.  E per non turbare il vasto pubblico accorso a godersi lo spettacolo, tanto la disgraziata che hanno ammazzato a colpi di kalashnikov in uno stadio, quanto le due aguzzine che l’hanno trascinata in loco e messa in posizione, naturalmente, indossavano la burqa, la versione afgana integrale del chador.  Gli astanti, comunque, si sono divertiti lo stesso.

21.11.’99