A proposito di tirannide. Non
vi sarà sfuggito come l’occasione di liberarsi da ogni imputazione in
tal senso Berlusconi se la sia vista offrire su un piatto d’argento dal
regista Ronconi, con la sua strana idea di arricchire una messa in scena
delle Rane di Aristofane al teatro greco di Siracusa esponendo certe caricature
del capo del governo e di altri esponenti della sua parte politica. La
cosa, ricorderete, aveva indignato due membri abbastanza autorevoli di
“Forza Italia”, con la conseguente rimozione delle immagini contestate
e il successivo intervento del Premier che, graziosamente, acconsentiva
a che fossero rimesse in loco. Concessione di cui i teatranti, tra
parentesi, si sono ben guardati dall’approfittare, perché se a un artista
una censura ogni tanto non può che fare del bene, l’autocensura rimane
sempre uno dei metodi più efficaci per restare sulla cresta dell’onda.
Ma non è questo, naturalmente, il problema.
Il
problema è che l’episodio ha dimostrato come nessuno dei suoi protagonisti,
a partire dalla ministra Prestigiacomo e dal sottosegretario Miccichè,
che lo hanno innescato, avesse la minima idea, non dirò su chi fosse Aristofane,
che forse è troppo, ma sul significato del suo teatro certamente sì.
E se è vero che l’ignoranza delle cose classiche nel paese è più diffusa
di quanto si pensi, come vi può garantire chi, come me, ha speso una vita
nel vano tentativo di spezzare il pane della cultura greca e latina a generazioni
di studenti riottosi, è anche vero che chi siede al governo dovrebbe fare
lo sforzo, come minimo, di non esibirla.
Perché,
come si fa, santiddio, a sostenere, come mi sembra abbia fatto appunto
l’onorevole Miccichè, che Aristofane attaccava i tiranni, non i governanti
eletti democraticamente? È vero che non è tanto facile comprendere
la produzione drammatica antica quando ci viene riproposta sulle scene
di oggi, al di fuori del suo contesto rituale e civile, e che le difficoltà
aumentano quando i registi, com’è loro malvezzo, caricano la messa in
scena di riferimenti ai problemi contemporanei, ma, insomma, che Aristofane
i governanti eletti democraticamente non li potesse soffrire lo si può
leggere su qualsiasi bigino. A lui i tiranni, in sostanza, piacevano.
Anche se non sarebbe corretto definirlo un uomo di destra, visto
che ai suoi tempi la destra e la sinistra, in senso politico, non erano
state ancora inventate, è largamente noto che poche cose lo facevano imbufalire
quanto la democrazia. Nelle Rane, che furono presentate alle Lenee
del 405 a.C., la parabasi (quella parte della commedia in cui i coristi,
rompendo la finzione scenica, depongono la maschera e danno voce direttamente
alle opinioni dell’autore) è dedicata a una perorazione della “concordia”,
che significa, in pratica, la richiesta di riabilitare i promotori del
colpo di stato aristocratico del 411: una proposta che non dovrebbe suonar
male alle orecchie di chi si batte per la par condicio tra i partigiani
e i ragazzi di Salò. Se gli onorevoli Micciché e Prestigiacomo,
che non so se abbiano fatto o meno il liceo classico, ma appartengono comunque
a un governo che del mantenimento di quel tipo di scuola si è fatto un
punto d’onore, avessero tratto profitto dai loro studi, saprebbero senza
tema di errore che essere svillaneggiati in una commedia di Aristofane,
anche nella forma mediata di una caricatura esposta in scena, è garanzia
inoppugnabile di spirito democratico e devozione agli interessi popolari.
Ma
il problema, ahimè, è sempre lo stesso. Non studiano: questi ragazzi
non studiano. Non capiscono che, anche se uno può diventare sottosegretario
o ministro, il rischio di fare uno scivolare su Aristofane lo correrà sempre.
Perché poi il Berlusca ci fa la bella figura di chi la censura non
sa neanche cos’è, il Ronconi e l’Escobar si fanno un mucchio di pubblicità
a gratis, come se ne avessero bisogno, e quelli che hanno scatenato tutto
l’ambaradàn si ritrovano con la nomea di censori in pectore e, come se
non bastasse, ignoranti. Un’ingiustizia della quale speriamo che
il loro leader voglia risarcirli, elevandoli quanto prima a responsabilità
anche più alte di quelle attuali. Ma, per favore, non alla direzione
dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico.
26.05.’02