Illazioni

La caccia | Trasmessa il: 04/21/2002



Strano paese, francamente, è l’Italia.  In poche altre parti del mondo il titolare della seconda carica dello Stato si sarebbe potuto permettere, come ha fatto il nostro Presidente del Senato alle 17,12 di giovedì scorso, ventidue minuti esatti dopo l’impatto contro il grattacielo Pirelli del monomotore svizzero pilotato dal povero signor Luigi Fasulo, di definire pubblicamente l’evento come “un attentato”, per affidare, un quarto d’ora più tardi, la più banale e imbarazzata delle smentite alla voce di un contrariatissimo vice.  Il Ministro dell’Interno, che il senatore Pera aveva chiamato in causa come fonte, si è limitato a osservare, il giorno dopo, che il suo collega di partito si era comportato, né più né meno, “come l’uomo della strada” di fronte alle drammatiche immagini televisive di quel pomeriggio, ma appunto questo è il problema.  L’uomo della strada, nel senso di un cittadino qualunque, può permettersi (fino a un certo punto) di dire la prima cosa che gli passa per la testa, visto che con le sue esternazioni non corre il rischio di gettare nel panico l’opinione pubblica, di far precipitare le borse mondiali e di provocare l’immediata mobilitazione della difesa aerea e delle basi NATO dislocate nel territorio.  Il Presidente del Senato, evidentemente, no.  L’autorevolezza stessa della sua cattedra dovrebbe imporgli, se non altro, una doverosa cautela.  Nel caso in questione, avrebbe dovuto bastare la mancanza di informazioni precise, anche a prescindere da qualsiasi considerazione sulla plausibilità dell’ipotesi terroristica, per suggerirgli di tenere le mascelle solidamente serrate.  Non lo ha fatto e così si è aggregato alla lista, tutt’altro che esigua, di quegli esponenti della maggioranza che non riescono mai a cogliere una buona occasione per starsene zitti.
        D’altronde, bisogna anche capirlo.  Marcello Pera, sebbene goda, non si capisce bene perché, di una fama di fine giurista e statista di vaglia, non è, in ultima analisi, che una delle tante nullità politiche che Berlusconi, che non può occupare da solo, con tutta la buona volontà, la totalità dei posti disponibili, si è dovuto trascinare appresso.  E l’idea di anticipare, per una volta, quello che il suo capo avrebbe detto senz’altro, se solo gli avessero dato l’occasione di dirlo, deve essergli sembrata irresistibile.  Capirete: l’ipotesi di un bell’attentato, due giorni dopo lo sciopero generale, nella piazza stessa in cui si è conclusa una delle manifestazioni più imponenti dello sciopero stesso, su un fedele esponente di “Forza Italia” non poteva che avere l’effetto che il tradizionale drappo rosso produce sul toro infuriato.  Berlusconi ha detto e ripetuto tante di quelle volte che dalle proteste dell’opposizione e dei sindacati non possono nascere altro che eversione e violenza, che ormai devono essersene convinti anche i suoi più ragionevoli collaboratori.  E visto che il Premier, come lo chiamano, era troppo occupato a spiegare ai bulgari le regole del pluralismo televisivo, e i suoi vice a Milano erano fuori sede, impegnati, chi in India e chi in Canada, a rafforzare a spese della cittadinanza la propria immagine internazionale, il Presidente del Senato avrà pensato che l’occasione era troppo propizia per farsela scappare.  Gli è andata male, ma almeno ha fatto anche lui come il personaggio di quello spot televisivo che di questi giorni miete tanto successo , quello del “buonaseeera”: ha colto l’attimo.


Sto scherzando, naturalmente, ma forse il tema non è di quelli su cui si debba troppo scherzare.   L’Italia è diventata, da molto prima che Berlusconi decidesse, come dice lui, di “scendere in campo”, il paese degli attentati.  Sono più di trent’anni, dai giorni di piazza Fontana, che a ogni mobilitazione di massa importante, a ogni sfida dal basso capace di mettere in crisi, o semplicemente di infastidire, i detentori del potere, risponde un qualche brutto evento del genere. È un meccanismo che si è ripetuto, ormai, con tanta tragica puntualità da farsi, che la coscienza collettiva lo ha, in un certo senso, interiorizzato.  Giovedì scorso non era affatto necessario il ricordo, pur così suggestivo, dell’11 settembre, perché tutti, uomini della strada e uomini del palazzo, pensassero a un attentato.  Ma è appunto in queste circostanze che ci si aspetta che chi ha delle responsabilità si comporti in modo responsabile.  E di quanta responsabilità si possa far credito a certi figuri lo si capisce da episodi come questo.

14.04.’02