Il supermarket delle buone azioni

La caccia | Trasmessa il: 04/17/2011


    “A far del bene non si sbaglia mai” pare fosse solito ripetere Giovanni Semeria, il padre barnabita noto per la sua infaticabile attività di organizzatore di opere pie, che negli anni successivi al primo conflitto mondiale si era speso particolarmente per la causa degli orfani di guerra. Ricordo che quella sua massima (quel suo aforisma, se preferite, o quel suo slogan) campeggiava sull'insegna del gigantesco istituto che portava il suo nome, nell'entroterra di Monterosso, nelle Cinque Terre, dove, da ragazzo, passavo le estati. Ogni tanto, sul lungomare di quella località (che allora era assai meno alla moda di quanto mi dicono sia oggi) si incontravano i beneficati che vi alloggiavano, ragazzotti dall'aria mesta, con i capelli tagliati quasi a zero e vestiti in camiciotti e pantaloncini di tela cachi tutti uguali, che si spostavano in grandi gruppi lungo itinerari misteriosi accompagnati da quelli che presumibilmente erano i loro educatori, ma sembravano piuttosto dei guardiani. Erano, come me, lì in vacanza, ma non sembravano molto felici della loro condizione, che era a tutti gli effetti quella degli ospiti di una istituzione totale. I tempi erano quelli che erano e tutto il bene che si poteva far loro, evidentemente, consisteva in quel genere di ospitalità coatta e con ogni probabilità li si poteva considerare più fortunati di tanti altri. Oggi, strutture di quel tipo per ragazzi senza famiglia non ce ne sono più, in quegli edifici credo sorga un centro di riposo per anziani e forse è meglio così.
    A far del bene, in realtà, si può sbagliare spessissimo: dipende molto dalla idea di bene che ha il beneficatore e dalla sua corrispondenza, in tutto o in parte, con quella di chi gode delle sue premure. Il reverendo Donaldson di Pioggia è solo uno stereotipo letterario, ma questo non toglie che generazioni di missionari del suo tipo abbiano davvero prodotto dei danni irreparabili alla cultura delle società di cui si sono occupati, nella convinzione – ovviamente erronea – che la morale e la teologia puritana, con la relativa etica del lavoro, fossero proprio ciò che Dio aveva in mente per loro. I benefattori vecchio stampo, alla don Bosco o alla padre Semeria (appunto), avevano delle idee ben preciso sul destino cui avviare i loro protetti e sulla posizione lavorativa e sociale che meglio gli sarebbe convenuta e non sempre tali aspettative avrebbero coinciso al millimetro con quelle degli interessati. C'è sempre il rischio di una certa dose di autoritarismo in chi, sia pure con le migliori intenzioni del mondo, si carica di un ruolo direttivo nell'esistenza altrui. Non è detto che l'altrui sia sempre d'accordo. E se si decide di rinunciare all'approccio, come dire globale, di chi si prende carico dell'intera esistenza dei suoi protetti, ma di limitarsi a dargli una mano in certi concreti problemi, il problema non è affatto risolto. Il male si presenta in tante forme che le possibilità di intervento correttivo sono infinite e la scelta dell'una piuttosto dell'altra dipende da criteri affatto personali, su cui non si può avere certezza. Cosa privilegeremo, nel nostro approccio benefico: la salute, l'educazione, la sanità, il lavoro o lo svago? Può essere un bel problema.
    Un bel problema che, in qualche modo, in questi giorni ci si ripresenta. Nel bel mese di maggio, che oltre a essere dedicato alla mamma, alla Madonna e alle rose, è anche quello che precede la presentazione della dichiarazione dei redditi (per cui ha un bel dire il poeta che il mese più crudele sia aprile), ci giungono fitte e pressanti le sollecitazioni delle organizzazioni che aspirano a raccogliere il nostro otto per mille, se chiese, o il semplice cinque se strutture benefiche laiche. E scegliere è un bel problema, perché ce n'è davvero, ve ne sarete accorti, per tutti i gusti. Di questi giorni ascoltare la radio o guardare la televisione è come percorrere le corsie di un immaginario supermarket del bene, pronti a mettere nel carrello la buona azione prescelta. C'è chi, da un lato, esorta ad aver cura dell'ambiente, per migliorare il livello dell'aria che respiriamo, chi dall'altro ci propone di contribuire alla ricerca medica per sbaragliare le più orribile malattie, chi richiama la tua attenzione sugli interventi autogestiti nei paesi del terzo mondo, chi ti esorta a piantare semi di pace, giustizia, lavoro in Italia e all'estero, perché extracomunitari, zingari, migranti e clandestini sono tutti nostri fratelli, chi ti presenta torme di bambini felicemente assistiti (i bambini, in effetti, vanno moltissimo) e chi ti raccomanda di informarti presso i beneficati stessi quanto quella tal organizzazione li abbia aiutati e iamo appena all'inizio. Tutta roba da far venire, metaforicamente, l'acquolina in bocca a chi desidera approfittare di questa occasione per mostrarsi buono senza rischi e fatica. Ma scegliere, ahimè, è sempre un dilemma. Hai a disposizione solo un otto e un cinque per mille e accontentando uno di questi postulanti di nuovo tipo scontenti fatalmente gli altri. Sì, qualcosa puoi fare di più mandando un sms al tal numero o aprendo un conto nella tal banca, ma è poca roba. E poi c'è quel dubbio fastidioso, che non sai quanto della cifra che destinerai all'organizzazione prescelta non sia già stata spesa per organizzare l'imbonimento pubblicitario e quanto, poi, verrà utilizzato per la sopravvivenza delle organizzazioni stesse. Perché va bene che le organizzazioni benefiche per beneficare devono innanzi tutto esistere e per ricevere devono chiedere, e chiedere mediante una moderna campagna pubblicitaria è più proficuo che tendere la mano ai cantoni, ma a uno piacerebbe sapere quanto dei suoi soldi andrà direttamente a quei bambini, a quei ricercatori, a quei volontari e quanto finirà nel calderone delle spese generali. Ed è precisamente questo che, al momento, non si può sapere.
    E allora? E allora, niente: bisogna sempre servirsi degli strumenti che si hanno a disposizione, per quanto imperfetti, e forse le considerazioni di cui sopra dipendono soltanto dalla mia innata, insopportabile diffidenza. Ma d'altronde, nemmeno padre Semeria diceva che per far del bene bisogna fidarsi di tutti, no?

    15.05.'11


    Nota

    Pioggia (1921), di W. Somerset Maugham è disponibile nella nuova traduzione di F. Salvatorelli presso l'editore Adelphi, Milano, 2010. Che il mese più crudele sia aprile lo dichiara, naturalmente, Thomas S. Eliot in apertura al suo The Waste Land (1922).