Saprete tutti, naturalmente, cosa penso dei “gialli storici”, ma se proprio
giallo storico ha da essere, come il mercato sembra imporre, be’ non è
una cattiva idea quella di sorvolare l’Ottocento, lasciar perdere l’Illuminismo,
saltare a piè pari il Barocco e il Rinascimento, omettere il Medio Evo,
trascurare il Tardo Antico, non impicciarsi con la classicità e approdare
finalmente alle età più remote di cui si conservi il ricordo. In
fondo, più si risale nel tempo e più si può far conto sull’incompetenza
dei lettori, nel senso che meno bisogna preoccuparsi dei particolari antiquari:
non per niente la vecchia Agatha, che sapeva il fatto suo, ha inaugurato
il sottogenere portandoci nel Medio Regno dei Faraoni. L’idea deve
esser sembrata buona a Paolo Lanzotti, un autore di cui posso dirvi solo
che, stando al risvolto, vive a Venezia e fa l’insegnante, che ha ambientato
il suo secondo romanzo ancora più indietro nel tempo, tra i Sumeri della
terza dinastia di Ur, più o meno agli albori della storia conosciuta, nel
terzo millennio a. C. È un’età che permette un minimo di credibile
inquadramento storico (nel caso, la rivalità tra gli ambienti sacerdotali
e l’amministrazione reale), lasciando però all’autore tutta la possibile
libertà. Così, anche chi non nutre un interesse particolare per la
Mesopotamia antica, leggerà con piacere di come, nella remota città di
Nim, lo scriba Mebarasi indaghi sulla morte di un collega trovato morto
ammazzato proprio in casa del governatore Ebgala. Sarà stato, il
meschino, la vittima di un Gran Sacerdote poco propenso a lasciar calcolare
a un funzionario del re le rendite dei latifondi del Tempio o si sarà trovato
impigliato in qualche intrigo di palazzo? L’inquieto Mebarasi macina
indizi e deduzioni con l’abilità di un proto Sherlock, anche se, non essendo
stata ancora inventata la cocaina, deve limitarsi ad assumere, come stimolante,
quella nota invenzione sumerica che è la birra. Il lettore, comunque,
lo segue, perché la storia è scritta con garbo e scorrevolezza, la trama
sta in piedi e i Sumeri, dopo tutto, sono abbastanza misteriosi per affascinarci,
tanto è vero che solo a lettura finita ci si rende conto che il problema,
stringi stringi, si riduce a una versione mesopotamica del mistero della
camera chiusa e che, anzi, di quel venerabile archetipo poliziesco sfrutta
la più classica delle soluzioni. Ma che i travestimenti storici permettano
di riciclare le procedure e gli espedienti narrativi della detection classica
lo sapevamo già, e bisogna ammettere che il quasi esordiente Lanzotti fa
il suo mestiere con competenza. Leggiamolo pure e auguri di una brillante
carriera.
08.11.’04
Paolo Lanzotti, Il segreto dello scriba, Piemme, pp. 381, € 18,00