Il giallo, si sa, si articola in infiniti
sottogeneri, ciascuno dei quali ha i suoi patiti a oltranza, anche se non
sempre riesce a sopravvivere indenne agli insulti del tempo. Piuttosto
out of date , per esempio, vanno considerati i classici misteri della magione
inglese di campagna , come erano di moda negli anni ’20 del secolo scorso
e in cui diede il meglio di sé Dorothy Sayers: quelli con il nobile lord
un po’ eccentrico, un assortimento pressoché obbligatorio di ospiti caratteristici
(il giovanotto imbranato, l’intellettuale lunatico, la signorina che sa
il fatto suo, la bella misteriosa, il militare di carriera e così via,
senza dimenticarsi – ovviamente – del personale, dal maggiordomo in giù)
e una trama retta da convenzione talmente ferree che si scriveva praticamente
da sola. Sono gialli che mandavano in bestia il povero Raymond Chandler,
che ne ha sottoposto la struttura a una critica spietata nella Semplice
arte del delitto, ma piacevano assai ai lettori e hanno continuato a piacere
per anni: quando ormai erano stati resi obsoleti, oltre che dal successo
dell’hard boiled, da quello di Agatha Christie e compagni, se ne continuarono
a scrivere, come studiate imitazioni di autore – ne azzeccò di bellissime
Georgette Heyer negli anni ’50 – o addirittura come parodie. Strepitose,
da questo punto di vista, sono quelle di James Anderson: se vi capita sotto
gli occhi The affair of the blood stained egg cosy (in Italia lo ha pubblicato
nel 1980 Garzanti, come Casa dolce casa del mistero) non lasciatevelo sfuggire.
Oggi,
ci tocca registrare un autore americano di successo, Walter Satterthwait,
impegnato nel far rivivere questa gloriosa tradizione. Il ragazzo
viene dal New Mexico, quanto di più lontano si possa immaginare dalla campagna
inglese, ma ha evidentemente studiato a fondo la materia e ha risolto brillantemente
il problema di attualizzare un materiale così datato: gli è bastato inserirvi,
come oggi si usa moltissimo, elementi e personaggi della realtà, giovandosi,
almeno di scorcio, del successo che continua a riscuotere il sottogenere
storico. Così, in questo Segno dei due, è l’estate del 1921 e nella
nobile dimora di lord Peter Purleigh, canonicamente affollata da tutta
la tipologia di cui sopra, si trovano in visita nientedimeno che Harry
Houdini, il celebre mago e illusionista e, udite udite, sir Arthur Conan
Doyle, il maestro del giallo per eccellenza. Sono lì per un esperimento
di parapsicologia e storicamente l’ipotesi è affatto corretta, visto che
i due personaggi furono effettivamente in contatto tra loro e si occupavano
entrambi, da opposti punti di vista, di fenomeni extranormali. Ma
la loro funzione narrativa, ovviamente, è abbastanza secondaria, tanto
è vero che alla soluzione del mistero è preposto un personaggio di fantasia:
i due ospiti di onore sono lì per permettere, con la loro presenza, lo
svolgimento del tipo di intrigo che l’ambientazione esige: delitto, indizi,
indagini, falsa soluzione, ribaltamento finale e se si riesce a farci entrare
un passaggio segreto è meglio. Il che, va detto, va a buon fine per
la gioia di tutti: l’operazione è forse un po’ artificiosa, ma l’autore
la conduce con humour, bello stile e mano leggera e tutti, per una volta,
possiamo lasciarci portare dalla nostalgia. Se solo l’editore italiano
avesse scelto un titolo meno banale nemmeno un brontolone come me avrebbe
avuto nulla da ridire.
30.10.’06
Walter Satterthwait, il segno dei due (Escapade), tr. it.di Paola Bovini, "Giallo & Nero" – Hobby & Word, pp. 361, € 18, 00