Il ritorno del maestro di danza | Henning Mankell

Gialloliva | Trasmessa il: 06/04/2007


    È una storia terribile quella che ci racconta Mankell in questo romanzo di sette anni fa, il suo primo giallo senza l’ormai celebre ispettore Wallander. È la storia di un uomo, un ex poliziotto, che vive in isolamento quasi totale, nella sua casa nella Svezia settentrionale, in un cupo paesaggio di boschi e di acque, e che un giorno viene raggiunto dalla sorte che per mezzo secolo aveva cercato di esorcizzare. Sarà una fine, la sua, particolarmente raccapricciante: gli investigatori scopriranno orripilanti che l’assassino, dopo averlo trascinato nella neve e massacrato lentamente a colpi di frusta, si è abbandonato, con il cadavere tra le braccia, a una sorta di danza rituale, un assurdo e macabro giro di tango.

    In realtà, come ci spiega subito l’autore, tutto questo ha origine nel passato. La vittima, nonostante sia sempre stato considerato da tutti un funzionario integerrimo, non era certo innocente: in gioventù aveva lasciato il paese per arruolarsi volontario nelle SS, aveva combattuto per Hitler fino alla caduta di Berlino e anche in seguito, dentro di sé, non aveva mai rinnegato quella scelta. Il suo non era stato, d’altronde, un caso isolato: i rapporti della Svezia neutrale con la Germania nazista, si sa, erano meno lineari di quanto in seguito si sarebbe preferito far credere e non erano stati pochi gli svedesi che avevano condiviso quelle idee. Ma oggi, nel clima un po’ torpido della nuova Svezia democratica e globalizzata, in cui il neonazismo è soltanto un fenomeno marginale, ai limiti del folklore politico, quel passato è stato accuratamente rimosso e gli addetti alle indagini non dispongono certo degli strumenti culturali per inquadrare il mistero. Ci vorrà, per arrivarci, la determinazione del protagonista, l’ispettore Stefan Lindstrom della polizia di Borå, che del defunto è stato collega e si è buttato nelle indagini perché da poco gli hanno trovato un tumore maligno in bocca e bisogna pur passare in qualche modo gli interminabili giorni che lo separano dall’inizio di una terapia dall’esito incerto.

    Ci troviamo di fronte, come vedete, a un romanzo complesso, che mescola alla tematica poliziesca la denuncia politica e una evidente ambizione di analisi psicologica. È ovvio, almeno per il lettore, che dispone, per una volta, di qualche elemento in più di quelli noti alla polizia, che l’investigatore Molin, la vittima, ha pagato il fio di qualche sua colpa, anche se la trama è parecchio più complicata di come ve la racconto. Ma è altrettanto chiaro che l’inchiesta privata dell’ispettore Lindstrom, che si interseca variamente con quella ufficiale, condotta dal suo parigrado Giuseppe Larsson, una figura che riprende, con qualche variante, la tipologia wallanderiana dell’investigatore dal volto umano, rappresenta una sorta di lotta solitaria contro il male, sia quello espresso dalla storia e dagli egoismi sociali sia quello che si annida nel nostro stesso organismo. Insomma, ci troviamo di fronte a un tipico romanzo a tesi, in cui l’autore si pone il fine esplicito di sottolineare come entrambe quelle realtà vadano affrontate senza cedere alle inevitabili tentazioni di rimozione e di fuga. Un’opera impegnativa, dunque, forse un po’ squilibrata nelle sue varie componenti e qua e là appesantita dall’eccesso di elementi simbolici, ma un romanzo, comunque, che anche chi, come me, non condivide sempre l’ammirazione universale per Mankell non può fare a meno di raccomandare.

    Henning Mankell, Il ritorno del maestro di danza (Dansläraren återkomst, 2000), tr. it. di Giorgio Puleo, "Farfalle" – Marsilio, pp. 491, € 18,50