Il giovane sbirro | Gianni Biondillo

Gialloliva | Trasmessa il: 05/07/2007


    Gianni Biondillo è un autore, come si dice, coi fiocchi, anzi, è senza alcun dubbio una delle figure di punta del recente noir italiano. Ha, tuttavia, un difetto: non vuole essere confinato nei limiti del genere, rivendica la sua qualità di scrittore senza aggettivi. Niente di grave, naturalmente: da un’analoga sindrome era affetto anche Raymond Chandler, il che non gli ha impedito di diventare quello che è diventato. Gli effetti, su Biondillo, riguardano soprattutto l’organizzazione del suo lavoro: dopo lo strepitoso debutto di Per cosa e si uccide (2004) e Con la morte nel cuore (2005), i primi due episodi della saga dell’ispettore Ferraro, del commissariato di Quarto Oggiaro, qui a due passi, al capolinea della 57, ha pubblicato, nel 2006, un Per sempre giovane che con i gialli e Ferraro c’entrava pochino – ma era, comunque, un gran bel romanzo – e ha deciso adesso, invece di continuare la serie, come farebbe qualsiasi bravo artigiano della tastiera, di dotarla di un prequel, e anche abbastanza insolito. Abbiamo così Il giovane sbirro, la storia della vocazione e delle prime esperienze del bravo Ferraro, che da giovane voleva fare il rocchettaro, suonava in una band che faceva le cover di Lucio Battisti (non il primo, quello dei 45 giri con Mogol, ma la fase successiva, con i testi di Panella) e faceva il filo alla batterista, ma poi doveva trovarsi un lavoro, è entrato, un po’ per caso, in polizia e, sorpresa sorpresa, ci si è trovato bene. La batterista alla fine l’ha sposata e ci ha fatto pure una bambina, ma si sa come finiscono i matrimoni con uno che in casa, sia pure per esigenze di servizio, non c’è mai.

    Il tutto, vi dicevo, non è raccontato così alla buona: Biondillo piazza una citazione di Rimbaud alla settima riga, tanto per far capire il livello, e poi monta il suo materiale (parte del quale, va detto, non è esattamente inedito, essendo già comparso in forma di racconto) in un gioco complesso di rimandi, anticipazioni, dissolvenze e quant’altro, un po’ come una espressione di quelle che si facevano alle medie, con le parentesi tonde, quadre e a graffe. I vari episodi della carriera del prorotoferrara, in cui il futuro ispettore a volte è il protagonista e altre volte si limita a passare di lì per caso, sono inseriti, a guisa di cornice, in un racconto più lungo, di età, diciamo, contemporanea, e il tutto, pur dando sulle prime l’impressione di un certo casino, alla fine si ricompone perfettamente, anche perché ci si accorge di essere arrivati al commissariatro di Quarto Oggiaro e che, come per caso, sono entrati in scena tutti i comprimari dei due primi romanzi (e si sono, in un certo senso, sistemate le cose con il terzo). Le storie sono sempre quelle: vicende di ordinaria allucinazione urbana e rurale, narrate con grande sensibilità umana e quel tipo di umorismo un po’ acre che caratterizza l’autore. Il quale non dimentica, beninteso, di essere milanese, e come tutti gli autori milanesi non manca di prestare il dovuto omaggio alla prosa dell’ingegner Gadda, rivelando una cospicua capacità creativa sul piano semantico, espressivo e lessicale. Insomma, un’opera di alto virtuosismo e speriamo che agli altri critici piaccia altrettanto e che Biondillo, rassicurato sul suo status di scrittore scrittore, ricominci a scrivere gialli.

    Gianni Biondillo, Il giovane sbirro, "Narratori della Fenice" – Guanda, pp. 347, € 16,00