Il boia, il boss e loro giudici

La caccia | Trasmessa il: 04/09/2000




Visto che ho cominciato la settimana scorsa, vi proporrò, se me lo permettete, un’altra causa piuttosto impopolare.  Non sono riuscito, con tutta la buona volontà, a condividere il giubilo dell’opinione pubblica democratica per l’avvenuta cattura di Momcilo Krajisnik, il “boia di Sarajevo”, prelevato nottetempo da un commando della NATO nella sua casa di Pale, Repubblica Serba di Bosnia, e trasferito illico et immediate in una cella d’isolamento dell’Aja, a disposizione del Tribunale Internazionale dell’ONU per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia.   So benissimo che è altamente probabile che l’individuo, durante la guerra, ne abbia fatto di ogni e che meriti ampiamente tutte le condanne che potranno essergli inflitte, ma, che volete che vi dica, sono talmente abituato a pensare che un giudizio legale, qualsiasi giudizio legale, debba prevedere un giudice “neutro”, nel senso di terzo tra le parti, che nemmeno per un personaggio sgradevole come Krajisnik riesco a fare eccezioni.  Vedete, nessuno può negare che la NATO, che per l’occasione si è attribuita funzioni di polizia giudiziaria, nella crisi jugoslava proprio neutrale non è.  E quanto al Tribunale Internazionale dell’ONU, visto che il pubblico ministero Del Ponte, interpretando in modo creativo il concetto svizzero di “neutralità”, ha dichiarato più volte che loro a dar corso alle numerose denunce ricevute contro la NATO non ci pensano affatto, mi permetterete di nutrire qualche dubbio sulla sua terzietà, se si dice così, e, quindi, sulla possibilità stessa di considerarlo un tribunale vero.   La “giustizia” che una delle parti esercita sull’altra dopo una guerra comporta sempre la volontà di assolvere se stessi affermando, non importa se a ragione o a torto, le colpe degli altri e, anche se nel caso specifico le guerre sono state due, far condannare il boia (serbo) di Sarajevo può essere un modo come un altro per far passare sotto silenzio i bombardamenti sui civili serbi e i relativi “danni collaterali”.  E non vi parlerò, per non tediarvi, di tutte le altre minutiae giuridiche, dei problemi di competenza territoriale e di sovranità nazionale, per non dire di quelli di procedura, che rendono l’azione dei para francesi molto più simile a un atto di guerra che a un’operazione di polizia.   Avete mai sentito parlare, per esempio, di un “mandato di cattura segreto”?  Sì, una volta i monarchi assoluti mandavano i loro nemici alla Bastiglia, o altrove, con le lettres de cachet, ma della Bastiglia pensavamo di esserci liberati nel 1789.

       In realtà, il problema non è soltanto di procedure e di competenze.  È un problema di diritti.  Nessuno può violare la sovranità territoriale di un paese qualsiasi, nemmeno di un paese sfigato come la Repubblica di Bosnia, per arrestare qualcuno in base a un ordine di cattura segreto, che non è stato notificato in alcun modo e non può essere in alcun modo impugnato.  È una patente violazione dei diritti civili dell’interessato.  E i diritti, si sa, sono una gran bella cosa, ma hanno il maledetto difetto di dover valere per tutti.  E di non essere revocabili.  Dire che uno è troppo malvagio, o troppo cretino, o troppo colpevole per poter godere dei diritti che spettano a lui come agli altri significa negare un principio e quando ci si mette a negare i principi non si sa mai dove si va a finire.   Adolf Eichmann, per fare un esempio particolarmente fastidioso, meritava mille volte di fare la fine che ha fatto, ma ciò non toglie che il suo “arresto”, chiamiamolo così, extralegale, abbia segnato per lo Stato d’Israele un punto di non ritorno, l’inizio di una deriva le cui conseguenze sulla democrazia in quel paese si sono fatte dolorosamente sentire più tardi.   Oppure, se dal dramma volete passare all’operetta, pensate agli eredi di casa Savoia.   Non c’è dubbio che siano personaggi di scarsa levatura e di modesta intelligenza, nonché arroganti, antipatici e ignoranti come caproni, ma nessuno ha il diritto lo stesso di condannarli per delle colpe che personalmente non hanno commesso e impedirgli di entrare nel territorio nazionale è un’ingiustizia bella e buona (e non ditemi che basterebbe che pronunciassero un giuramento di fedeltà alla Repubblica, perché esisterà pure il diritto di non giurare fedeltà alla Repubblica, no?).   La democrazia ha i suoi prezzi e se si pretende di vivere in uno stato di diritto, bisogna rassegnarsi ad accettare certe norme, per quanto fastidio possano darci le loro applicazioni specifiche.

       Ne caso di Momcilo Krajisnik, naturalmente, il problema è ancora più complicato, perché a essere stati violati non sono stati soltanto i diritti suoi, ma quelli, in un certo senso, di tutti i cittadini bosniaci, che d’ora in poi sapranno di essere soggetti a un potere esterno che potrà decidere, in base alle sue leggi e alle sue necessità politiche, di imporre loro la sua “giustizia”. È una sopraffazione, s’intende, che potrà essere gradita a molti di loro, forse addirittura alla maggioranza, ma visto che i diritti non si decidono a maggioranza, di una sopraffazione sempre si tratta.   Ma tanto, che ai governi del felice occidente, alle loro organizzazioni militari e ai loro tribunali dei diritti dei cittadini bosniaci non gliene potesse importare di meno lo sapevamo già.



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Visto che ci siamo, tanto vale che mi rovini definitivamente la piazza.  Tra i titolari di diritti di cui non si può prescindere ci sono, per quanto possa sembrar strano a qualcuno, anche i boss della malavita, compresi quelli condannati all’ergastolo nel giudizio di primo grado.  Se la Corte di Cassazione decide, come ha deciso la settimana scorsa, che undici di loro vanno scarcerati perché, tra un processo e l’altro, sono scaduti i termini di carcerazione preventiva, non fa altro – per una volta – che il proprio dovere e nessuno dovrebbe permettersi di fare tutto il cancan che si è fatto a questo proposito.  Il principio per cui la condanna non è definitiva finché non è definitivo il giudizio (finché, cioè, al condannato resta la possibilità di appellarsi a qualche Corte più alta) può non piacere all’attuale Ministro degli Interni, che infatti non manca mai di farlo rilevare, ma è espresso in termini assai chiari in quella Costituzione che lo stesso ministro ha liberamente giurato di osservare e far osservare.   E quello per cui la carcerazione preventiva deve avere un limite temporale ben definito fa parte a pieno titolo della civiltà giuridica contemporanea: non è stato inventato, come alcuni illustri commentatori sembrano ritenere, allo scopo di favorire i delinquenti e ostacolare l’opera dei bravi giudici e dei bravi poliziotti, ma per impedire, in ipotesi, che un’autorità qualsiasi possa tenere in galera qualcuno senza prendersi il disturbo di fargli quel giusto processo cui tutti, di qualsiasi reato siano imputati, hanno appunto diritto.  Sappiamo che non è un’ipotesi particolarmente remota, anche perché nel concetto di “giusto processo”, dopo la recente riforma  costituzionale, è insita la condizione per cui esso processo non deve avere una durata illimitata o comunque eccessiva e l’Italia, in ogni caso, è uno dei paesi in cui i processi li si tirano in lungo di più, com’è attestato dalle numerose condanne che al nostro paese ha inflitto la competente corte europea.  Le conseguenze di tutto ciò sono assolutamente ovvie: se io giudice non riesco a processarti entro un certo lasso di tempo, non posso proprio tenerti in prigione.   Devo, sia pure con rincrescimento, metterti fuori e non posso prendermela che con me stesso, perché non sono riuscito a fare il mio mestiere nei modi dovuti o con chi, eventualmente, mi ha impedito di farlo.  I sistemi giuridici che prevedono questo comportamento possono avanzare una qualche pretesa a essere considerati civili; quelli che preferiscono prolungare la detenzione preventiva all’infinito, nella presunzione che a una condanna definitiva prima o poi si finirà comunque con l’arrivare, e comunque chi se ne frega perché tanto l’imputato in galera ci è già, invece no.   Alle anime sensibili può dispiacere veder mettere in libertà certi brutti tipi (che si aggiungono ai molti che in libertà già ci sono perché nessuno ha mai pensato di arrestarli, anzi, di solito sono loro quelli che fanno arrestare gli altri), ma non si vede proprio come si possa evitarlo.  Non è necessario essere un teorico del diritto, o avere una mente particolarmente versata nei problemi legali, per capire che se si cominciasse a fare eccezioni per questo o per quello, per uno perché è tanto cattivo e per l’altro perché certa gente proprio non la si può sopportare, il risultato finale sarebbe quello di una perdita secca di libertà per tutti, a partire da noi.  In fondo, anche a chi non è né un boss né un delinquente generico può capitare di avere a che fare, come si dice con la “giustizia” e scoprire che il più delle volte “giustizia”, nel nostro paese, si scrive con le virgolette.

       Stando così le cose, quando il governo, nella persona del ministro Guardasigilli, che sente evidentemente il bisogno di far onore a quel suo bel titolo di origine medioevale, risponde alle “proteste” e allo “sdegno” suscitate nei media dalla scarcerazione degli undici boss di Reggio Calabria (che, a onor del vero, sono sette, perché uno era morto e tre sono restati dentro, ma queste sono banalità) con un bel decreto che, guarda un po’, prolunga per l’ennesima volta quei termini, tutti dovrebbero avere la sensazione, come minimo,  di essere presi per  fondelli, perché a un fallimento del sistema si risponde, con una prassi assolutamente consolidata, diminuendo i diritti dei cittadini, per non dire che boss – naturalmente – restano fuori e a rimetterci saranno una quantità di poveri cristi che boss non sono per niente, perché se si concede più tempo ai giudici a che cosa credete che lo dedichino, ai processi dei poveracci o a quelli importanti, che fanno titolo sui giornali e assicurano fama e carriera?  E dovrebbe fare anche un po’ d’impressione scoprire di avere un ministro capace di dichiarare che lui non vuole “aumentare i termini complessivi della custodia cautelare”, ma si limita ad allungarli “nella fase iniziale”, che è un bell’esempio di logica, ma non basta a nascondere il fatto che, per ora, l’allungamento c’è.  Invece siamo tutti contenti perché hanno dato un giro di vite e possiamo aspettare tranquillamente il prossimo scandalo e il prossimo decreto.  Che il giro di vite lo stiano dando contro di noi, a quanto pare non viene in mente a nessuno.


09.04.’00