Una volta le storie di spionaggio, Ambler,
Fleming e LeCarré a parte, si leggevano sui fascicoli settimanali di “Segretissimo”,
che costavano poche centinaia di lire, avevano delle splendide copertine
a colori di Carlo Jacono e garantivano quasi sempre due o tre ore di onesto
intrattenimento. Certo, i traduttori a volte andavano a spanne e
gli autori non meritavano l’Oscar dell’originalità, visto che avevano
una certa tendenza a riproporre gli schemi fleminghiani della tentacolare
cospirazione sovietica o del pazzo che cerca di conquistare il mondo, ma
è sorprendente, a ripensarci, quanto spesso capitava di imbattersi in trovate
brillante e idee narrativamente originali. Magari i particolari erano
un filino imprecisi e la descrizione di come funzionavano i vari servizi
segreti si basava soprattutto sulla fantasia, ma, in fondo, quando si racconta
una storia la fantasia è una delle cose che servono di più. Oggi
gli autori si documentano per filo e per segno (come dimostrano le pagine
e pagine di ringraziamenti alla fine del romanzo), scrivono tutti bene,
si attengono – nella scelta degli argomenti – ai problemi reali di questo
nostro mondo tormentato e li si pubblica, almeno in Italia, in lussuose
edizioni rilegate con sovraccoperta, ma, per un motivo o per l’altro,
ci divertono molto meno. E poi, anche se parlano di Al Qaida, di
kamikaze e di terrorismo islamico, sempre di cospirazioni tentacolari e
di pazzi che vogliono conquistare il mondo alla fin fine si tratta.
Anche
in questo Banchiere del diavolo di Christopher Reich, un autore americano
che personalmente mi è nuovo, ma che, stando al risvolto, ha già pubblicato
una discreta quantità di best seller, c’è un pazzo che vuole conquistare
il mondo, o quasi: un eminente banchiere di origini medio orientali che,
perfettamente mimetizzato nei meandri del mondo finanziario internazionale,
non solo finanzia le organizzazioni islamiche più radicali, ma in proprio
vuole ripetere una personale versione dell’11 settembre al fine di vendicarsi
degli odiati occidentali e aumentare immensamente il suo patrimonio. Detta
così, si capisce che si tratta, in un certo senso, di una specie di incrocio
postumo tra Goldfinger e il dottor No, ma il lettore può non accorgersene,
soprattutto per la terribile serietà con cui la sua storia viene raccontata.
Tanto più che sulle sue piste non ci sono romantici agenti segreti
(be’, una eroina abbastanza romantica, in realtà, c’è) ma implacabili
analisti finanziari ed esperti del mondo bancario, gente cui basta un numero
di bancomat per ricostruire le dimensioni di un impero economico. Certo,
gli alti comandi litigano un po’ tra di loro, come è d’uso da LeCarré
in poi, si fanno i dispetti tra inglesi, francesi e americani, non capiscono
quanto sia bravo il protagonista e via andare, ma si capisce fin dall’inizio
che il “banchiere del diavolo” in questioni ha ancora meno chance
di successo di Ernst Stavro Blofeld. Tutto ben scritto, comunque,
ben costruito, ben ambientato, ricco di suspense, movimento e professionalità
e va a sapere perché sa tutto così fortemente di plastica. Insomma,
i miei gusti sono tuitt’altri, ma opere come questa rappresentano ormai
un settore importante del mercato e chi gli piacciono ci troverà tutto
quanto desidera. Ma solo chi gli piacciono, naturalmente.
20.04.’06
Christopher Reich, Il banchiere del diavolo (The Devil’s Banker), tr. it. Piero Spinelli, "Omnibus" – Mondadori, pp. 403, € 18,00