Quanti fra gli ascoltatori hanno qualche
nozione di teologia – un campo di studi, che, personalmente, non mi stancherò
mai di raccomandare, perché le sue ipostasi riflettono il gioco delle valorizzazioni
con una chiarezza che, a livello terreno, la filosofia riesce troppo spesso
a occultare – quanti, dunque, hanno pratica del settore converranno con
me che gli angeli, se non esistessero, bisognerebbe davvero inventarli.
Poche altre figure spirituali si sono rivelate, a pensarci, così
utili e altrettanto versatili, contribuendo con la loro sola presenza alla
soluzione di una quantità di problemi che, senza di loro, avrebbero procurato
seri fastidi ai pensatori più agguerriti. Dalla funzione originaria
di messaggeri e portaordini della divinità, una funzione forse modesta,
ma indispensabile, visto che qualcuno doveva ben esortare Giuseppe a prendere
la via dell’Egitto, o avvertire le pie donne di non cercare tra i morti
Colui che stava, invece, tra i vivi, hanno sviluppato, con i secoli, uno
spettro di funzioni sempre più complesse e sofisticate. In quanto
protagonisti, nell’ingegnosa rielaborazione di un oscuro accenno profetico,
della storia della ribellione di Lucifero e soci, hanno risparmiato all’Onnipotente
l’imbarazzo di dover creare direttamente il Maligno, che sarebbe stata
una bella complicazione per tutti. Organizzati in nove cori da quell’autentico
genio della speculazione sistematica noto come lo pseudo Dionigi l’Areopagita,
si sono rivelati preziosi per colmare la distanza tra il Dio trascendente
delle Scritture e questo basso mondo, permettendo ai dotti cristiani di
utilizzare senza problemi una dottrina immanentista come quella neoplatonica,
con tutti i vantaggi che, in termini di valore, glie ne venivano. Combinati,
coro per coro, con i nove cieli della cosmologia tolemaica, hanno fornito
una comoda spiegazione dei moti celesti a un mondo che ancora ignorava
i principi della meccanica razionale. E anche dopo essere stati
espropriati dai questa funzione dal diffondersi del modello copernicano,
sono restati sulla breccia come protettori e custodi di ogni singolo essere
umano. È anzi in questa loro ultima personificazione, sorretta com’è,
più che dalla dottrina, dalla devozione popolare, che li trovo particolarmente
preziosi. L’idea che ciascuno di noi, con i tempi che corrono, possa
contare sul suo bravo Angelo Custode, mi sembra tra le più confortanti.
E non ditemi che, visto come va il mondo, non devono essere dei protettori
particolarmente efficienti. Se non altro ci provano.
Trovo
ingiusto, così, che, come leggo in un trafiletto del “Venerdì di Repubblica”
del 26 aprile u.s., il Vaticano abbia diramato certe istruzioni che degli
angeli intendono limitare drasticamente il culto. Sembra, infatti,
che la competente Congregazione diretta dal cardinale Medina Estevez, abbia
pubblicato un documento di 300 pagine in cui si raccomanda, tra l’altro,
di evitare con cura la venerazione di tutte le creature alate che non siano
citate né nel Vecchio né nel Nuovo Testamento. E di angeli citati
per nome nella Bibbia, non vi paia strano, ce ne sono solamente tre: Gabriele,
Michele e Raffaele. Tutti gli altri nomi noti (Uriele, Jophiele,
Chamuele, Zadkiele) ci vengono da fonti meno qualificate e i loro titolari
vanno quindi considerati delle “pseudo esperienze spirituali”, delle
imitazioni dalle quali è consigliabile diffidare.
Il
documento pontificio, in realtà, più che con gli angeli, ce l’ha con certi
loro estimatori troppo entusiasti, che rientrano, per un verso o per l’altro,
in quel campo della religiosità new age di cui il Vaticano, come avrete
notato, diffida più di tutto il resto della concorrenza. Nel giro
new age, a quanto pare, i vari Uriele e Zadkiele vengono tenuti in particolare
considerazione, sono, come si legge, delle “autentiche star”, dei “simboli
un po’ fricchettoni di pace, equilibrio, saggezza”. Per cui, in
base al principio che chi va al mulino si infarina, si è stabilito che
da loro, e da tutti i loro innominati colleghi, i fedeli faranno
meglio a tenersi alla larga.
La
decisione ha una sua logica, ma a me sembra ingiusta lo stesso. Gabriele,
Michele e Raffaele avranno i loro meriti, non lo nego, ma tre angeli da
venerare sono davvero pochi. Non saprei dirvi quale sia, esattamente,
il loro numero complessivo (anche se qualcuno, a suo tempo, ne avrà sicuramente
discusso) ma se solo prendiamo in considerazione gli angeli custodi ce
ne dovrebbero essere almeno sei miliardi, più tutti quelli tenuti da parte
in vista della presumibile crescita numerica dell’umanità. E, dopo
tutti i meriti che hanno acquisito, non è bello metterli da parte adesso
che non servono più. Perché, certo, del Maligno e dei demoni dell’inferno
oggi si tende a parlare il meno possibile, il neoplatonismo conta molto
meno della semeiotica e a far muovere le stelle e i pianeti provvede con
efficienza il Big Bang, per cui delle corti angeliche nessuno sente davvero
il bisogno, e, anzi, può darsi che qualcuno le consideri delle entità superate
e un po’ imbarazzanti, qualcosa di cui vergognarsi, come ci si vergogna
di indossare gli abiti passati irrimediabilmente di moda, di guidare le
vecchie automobili e di utilizzare, comunque, degli apparati che non vanno
al passo con la tecnologia più recente. Anche la Chiesa, soprattutto
la Chiesa, deve mostrarsi à la page, per evitare qualsiasi fastidiosa imputazione
di passatismo. Ha smesso da tempo di occuparsi di cosmologia e, soprattutto,
deve dimostrare che il suo radicamento nel passato non le preclude la frequentazione
del contemporaneo e delle sue problematiche. Nel tentativo, sempre
negato, ma perseguito per tutta la sua storia, di tenersi al passo con
i tempi, è disposta a lasciar cadere un’incredibile quantità di zavorra.
Ma
gli angeli, i nostri cari angeli, non ce li doveva toccare.
12.05.’02