I mostri dell'informazione

La caccia | Trasmessa il: 06/12/2011


    Visto che ci avete seguito per tutti questi mesi (in questi anni, in certi casi), vi confiderò una cosa che, di solito, preferisco non si sappia in giro: sono – anatema su di me – un grande appassionato di talk show televisivi. Potendo, non me ne perderei uno, compresi quelli dei canali minori e delle reti locali e, come ben sa la compagna della mia vita, quando sono piazzato davanti al televisore con il telecomando in pugno e sullo schermo si esibiscono i vari Floris, Lerner e Santoro, è veramente difficile dirottarmi su un altro programma, fosse pure la penultima puntata del Medico in famiglia o il debutto di una nuova serie con Montalbano. Me ne vergogno un po', ma non riesco a resistere: so benissimo che quelle trasmissioni, checché se ne dica, hanno una valenza informativa tendente allo zero e rappresentano, dal punto di vista ideologico, solo la pietosa parodia di un dibattito, eppure continuano ad affascinarmi e al loro fascino, francamente, non riesco a resistere.
    Tra tutte, quella che prediligevo era, ovviamente, Anno zero. E non perché rappresentasse, dal punto di vista giornalistico, chissà quale eccezione. In effetti, era difficile che dalle labbra dell'ottimo Michele Santoro uscissero delle verità rivelate, e Marco Travaglio è un abile polemista, ma i suoi interventi sono soltanto dei montaggi di informazioni già note e anche le vignette di Vauro, per quanto gustosamente perfide, si gustano meglio centellinandole una per una sul “Manifesto”, sul “Corriere” o dove altro appaiono, che non in blocchi di quindici venti a fine trasmissione. Anche le scene di massa orchestrate in diretta nelle piazze e nei luoghi di lavoro o gli interventi dei testimonials dal loggione, quelli affidati alle cure di una giornalista (?) bionda dalla voce singolarmente sgradevole, non sono mai riusciti a emozionarmi. Ma, in compenso, la compianta trasmissione del giovedì sera disponeva di un atout straordinario: la scelta degli ospiti. Metteva in scena, settimana dopo settimana, dei personaggi imperdibili.
    Ora, è vero che gli ospiti, nei talk show, sono sempre – più o meno – gli stessi. Ma i vari conduttori, di solito, cercano di organizzarli secondo una certa logica informativa, contrapponendoli per parte politica e privilegiando quei personaggi dotati di una vaga competenza sulle materie in dibattito. Cercano anche, talvolta, di assicurarsi la partecipazione di figure vagamente ragionevoli, capaci di dialogare con gli interlocutori, a rischio di affogare la serata nella noia. Santoro no. Lui non si è mai curato della ragionevolezza o della competenza, soprattutto per quel che riguardava gli ospiti, tanto per intenderci, di parte governativa, visto che quelli dell'opposizione gli sono sempre interessati molto meno. Lui puntava decisamente sul pittoresco. Non c'è altro motivo per cui dovesse infliggerci tante volte – così per fare dei nomi – la Santanché, con le sue incredibili mises, o il pio Formigoni, con le sue giacche arancio brillante e le sue camicie fantasia. Perché la voce e il volto del Popolo della Libertà dovessero sempre incarnarsi in quelli di Maurizio Lupi, la cui ostentata ragionevolezza scivola spesso in un certo plateale rifiuto dell'evidente. Perché il giornalismo di destra, che ha, nel paese, una sua ricca tradizione, assumesse di norma le fattezza di Alessandro Sallusti, che sarà – non lo nego – un professionista serissimo, ma con quel suo profilo aquilino, lo sguardo minaccioso che si ritrova e il sorrisetto sprezzante che gli si forma sul labbro non è, per così dire, la figura più accattivante che si possa trovare su piazza e per di più ha la tendenza a servirsi, negli scambi polemici, di argomentazioni non sempre irreprensibili. E così via: non si può certo negare che gli ospiti fissi del teatrino di Santoro non fossero tutti politici e giornalisti il cui punto di vista meritava di essere espresso e preso in considerazione, ma fatto sta che nessuno di loro, non saprei se intenzionalmente o meno, era lì per esprimere davvero un punto di vista. Si presentavano per fare, appunto, del teatro, interpretando ciascuno il proprio ruolo di fronte a una platea affezionata che altro da loro non si aspettava. Il risultato non aveva molto a che fare con il dibattito politico o con il giornalismo: era piuttosto qualcosa del genere dell'opera dei pupi, o dei cartoni animati, forme di spettacolo, entrambe, in cui dei personaggi si sa già tutto prima che aprano bocca – se mai la aprono – e quello che il pubblico aspetta non è certo il loro parere sui fatti del giorno.
    Si trattava, d'altronde, di uno spettacolo di alto livello, gestito con straordinaria professionalità e premiato con uno straordinario successo di audience, e soltanto Berlusconi poteva credere che il proprio declino politico dipendesse da quello che succedeva ad Anno zero. Anzi, secondo me non ci credeva nemmeno lui e il livore con cui si è accanito contro la trasmissione, fino a ottenerne, in un modo o nell'altro, la chiusura, dipende soprattutto dall'invidia di un uomo di spettacolo e di televisione verso un collega di successo. Si tratterebbe, così, di un'ennesima manifestazione del conflitto di interessi. Il che non toglie, naturalmente, che l'estromissione di Santoro e dei suoi dalla televisione pubblica sia un atto di censura, e in quanto tale rappresenti un vulnus della libertà d'informazione molto più grave di quello che pretende di voler sanare. Il sonno dell'informazione, come quello della ragione, può generare talvolta dei mostri, ma su questo terreno non c'è mostruosità peggiore della censura e di un governo che se ne serve.

    12.06.'11