I fanti e i santi

La caccia | Trasmessa il: 04/22/2012


I fanti e i santi

    “Scherza coi fanti e lascia stare i santi...” Per il sagrestano di Sant'Andrea della Valle, che di questa espressione della saggezza popolare si fa, nel primo atto della Tosca, strenuo sostenitore e assertore, coloro che non vi ci si attengono sono degli “impenitenti tutti quanti”, anzi, peggio, dei “cani di volterriani nemici del santissimo governo,” la cui unica prospettiva – presumibilmente – è quella di bruciare per l'eternità nelle fiamme infernali, previa fucilazione sugli spalti di Castel Sant'Angelo. Non è il caso di andargli a parlare della recondita armonia di bellezze diverse o di simili astruserie: per lui il mondo, dal punto di vista valoriale, è organizzato secondo la più semplice delle polarità, per cui da una parte ci sono le cose sacre, da riverire, ricercare e perseguire, e dall'altra quelle mondane, da evitare con cura, e morta lì. Non sono previste né ammesse combinazioni o sfumature intermedie. Il cavalier Cavaradossi, che sta dipingendo una Maddalena in una cappella della chiesa, azione in sé meritevole, ma le ha dato le sembianze di una bella penitente che ha adocchiato tra i banchi, sta pericolosamente confondendo i due piani e ne avrà certo da che pentirsene, perché “queste diverse gonne che fanno concorrenza alle Madonne mandan tanfo d'inferno”. Ragiona, il brav'uomo, in modo forse un po' semplicistico, applicando un po' troppo meccanicamente le categorie del catechismo romano, e non dà neanche spazio alla casistica dei Gesuiti, ma si appoggia comunque a una tradizione consolidata e poi non si può negare, considerando lo svolgimento dell'opera, che, nel caso, un po' di ragione ce l'abbia.
    Anche lui avrebbe ammesso, tuttavia, che si possono dare dei casi particolari. Chi con i santi abbia un rapporto di diuturna e rispettosa frequentazione, chi sia esente da qualsiasi sospetto di volterrianesimo (oggi diremmo di relativismo) e di ostilità al sacrosanto governo, be', costui, con i santi qualche scherzo se lo potrà ben permettere. Sa che i beati destinatari lo prenderanno per quello che è, non certo per una mancanza di rispetto, ma vi vedranno, al contrario, una manifestazione di confidenza, quasi di intimità. E quanto più costui sarà sicuro della solidità del proprio rapporto con le sfere celesti, tanto più in alto potrà azzardarsi a salire nelle sue manifestazioni di familiarità. Così il governatore Formigoni, che per rispondere all'accusa di aver inserito nella propria squadra alcuni collaboratori dalla moralità non proprio ineccepibile, ha ribattuto che, quanto a scelta dei collaboratori, anche Gesù aveva fatto i suoi sbagli, non intendeva certo offendere o deridere nessuno. Intendeva, con quella battuta, affermare una ovvietà nota a tutti, il fatto che in qualche errore di valutazione si può sempre incappare, e al tempo stesso accennare, con la debita discrezione, alle linee di comunicazione privilegiata di cui dispone con il Paradiso. Due dati di fatto dei quali a nessuno verrà mai in mente di dubitare.
    Certo che come battuta è tremenda. Sarebbe piaciuta, probabilmente, al nostro sagrestano, ma solo perché, senza offesa, puzza terribilmente di sagrestia. Un laico non avrebbe mai potuto permettersela. I laici, di solito, hanno troppo rispetto per la figura di Gesù per lasciarsi andare a indebite familiarità. E quanto a Giuda, che nei Vangeli è l'esempio più noto di collaboratore mal scelto, nessuno di loro ricorrerebbe, per spiegare come mai il Maestro si sia fidato di lui, alla categoria dello sbaglio. Anche a prescindere dalla speculazione esoterica di impostazione gnostica, quella per la quale le due figure in un ceto senso si rispecchiano l'una nell'altra, in quanto entrambi tramite necessario del disegno provvidenziale, la figura di Giuda per il pensiero moderno rappresenta soprattutto un problema. I motivi della sua presenza nel racconto evangelico sono oscuri – visto che, così come è impostata la storia, non c'è alcun bisogno, perché la Passione si compia, di far intervenire un traditore, né di qualcuno che indichi alle guardie incaricate dell'arresto quello che era senz'altro un personaggio ben noto – e richiedono, per essere chiariti, varie estrapolazioni interpretative di carattere storico e teologico.
    Nulla di tutto questo, naturalmente, riguarda Formigoni. Il Celeste, lo si è visto in questi giorni, ha una visione rigorosamente non problematica delle questioni religiose e morali. Il bene e il male – Gesù e Giuda, appunto – rappresentano due ambiti radicalmente diversi e se qualche volta si incrociano vuol dire soltanto che qualcosa non ha funzionato bene, che c'è stato, appunto, uno sbaglio.
    La soluzione può sembrare un po' semplicistica, ma si tratta di un semplicismo, a ben vedere, tutto formigoniano. Da uno che, come lui, considera compatibili con il voto di povertà le vacanze ai Caraibi nei resort a sette stelle e la frequentazione di ristoranti da mille o duemila euro a botta, purché a pagare sia un altro, non ci si può attendere altro. Accusato di essere al centro di un sistema di governo corrotto, di fungere da punto di riferimento per i ladri e faccendieri assortiti, gente che ha mandato a picco come se fosse niente un colosso come il San Raffaele e dalle casse dell'Istituto Maugeri ha prelevato, tanto per gradire, almeno settanta milioni, risponde che, a parte il fatto che quelle due istituzioni sono enti di diritto privato, e non spetta alla Regione – cioè a lui – di occuparsene, è l'accusa stessa che dimostra la sua innocenza. Se i malversatori “si riferivano” a lui, vuol dire, non ci piove, che erano altro da lui, cioè che lui non era (e non è) un malversatore. Non ha mai preso un euro, nel senso che nessuno glielo ha mai messo materialmente in mano e i vantaggi accessori di cui è stato accusato di approfittare – le vacanze, appunto, i capodanno, le cene, gli yacht e il resto – gli sono stati conferiti a puro titolo di liberalità, configurando l'utopia di un mondo libero dal vile denaro e dalle ferree strettoie del capitalismo. Il potere accumulato e gestito dalla organizzazione di cui è uno dei principali esponenti parimente non lo riguarda. I suoi amici si saranno forse arricchiti a spese pubbliche, non può escluderlo, ma lui no, lui è estraneo alla categoria stessa di arricchimento, è, per citare le sue stesse parole, “puro come l'acqua di fonte”. Può scherzare con i santi, o addirittura con il Salvatore, perché è lui stesso un santo e in quanto tale affatto irresponsabile. Sono gli altri, i fanti della politica e del giornalismo, che non possono scherzare con lui e se solo si azzardano a fargli qualche domanda sulle sue frequentazioni si sentono subito chiedere, come tutta risposta, a che titolo si permettono di essere tanto indiscreti.
    Insomma. Rinchiuso come un'ostrica nel guscio della propria autorefenzialità, il governatore della Regione Lombardia – anzi “di” Regione Lombardia, come dice lui, senza articolo, quasi a sottolineare l'intensità e l'esclusività del rapporto – è al riparo di qualsiasi assalto. Dall'idea che esistano, oltre a quelle legali, che non lo riguardano, delle responsabilità politiche sembra che non sia mai stato sfiorato. L'unico dato politico che è disposto a prendere in considerazione riguarda l'investitura di cui è stato oggetto da parte degli elettori lombardi ben quattro volte di seguito.

    Non gli viene in mente che, come Nostro Signore, possono essersi sbagliati anche loro.
22.04.'12