I delitti dell’oro cinese | Robert Van Gulik

Gialloliva | Trasmessa il: 04/23/2007


    Torna in libreria un classico minore del secolo scorso: quei Delitti dell’oro cinese con cui Robert Van Gulik, nel lontano 1965, forniva un solido antefatto alla serie delle avventure del giudice Dee, che aveva avviato nel 1962. Si tratta, quindi, della prima serie di indagini di Dee Jen-djiee, magistrato di provincia nell’impero dei T’ang, nel VII secolo della nostra era volgare, quello in cui assume la carica, recluta i fidi assistenti Ma Joong e Chiao Tai e dà prova per la prima volta delle sue straordinarie capacità. Pubblicato in Italia nel ’66, questo notevole romanzo non si vedeva più dai tempi di un “Omnibus” mondadoriano del ’91 e dobbiamo essere grati alla ObarraO, una piccola casa editrice specializzata in cose asiatiche, che ce lo ripresenta in una dignitosa edizione economica, con le classiche (e indispensabili) illustrazioni dell’autore.

    Sarete tutti al corrente, suppongo, della mia antipatia per il giallo storico, ma le storie del giudice Dee sono piuttosto diverse da quello che di solito si intende per tale. Robert Van Gulik, che era un orientalista olandese di una certa importanza, prima di passare alla narrativa in proprio (in lingua inglese) aveva alternato alla carriera diplomatica in Estremo Oriente lo studio della cultura popolare cinese, specializzandosi sulla ricca produzione poliziesca che vanta quella letteratura. Si tratta, va detto, di una tradizione più antica e assolutamente indipendente da quella che noi facciamo cominciare nel XX secolo con Poe: moduli narrativi e tecniche di indagine sono affatto originali (non escludendo, se del caso, un robusto elemento soprannaturale) e il personaggio centrale è immancabilmente quello del magistrato di distretto, il responsabile amministrativo e giudiziario della cellula di base della struttura amministrativa imperiale. Venivano, questi funzionari, dalla classe dei piccoli proprietari colti, dovevano superare una rigorosa selezione per esami, che garantiva una totale adesione al pensiero confuciano e rappresentavano, generalmente parlando, il nerbo di quel sistema di governo. Gli occidentali, secoli dopo, li avrebbero definiti con il termine portoghese di “mandarini”, ma la parola è impropria per l’epoca T’ang e l’autore se ne tiene alla larga.

    L’idea di Van Gulik in sé è semplice: raccontare, conservando la struttura del poliziesco cinese, che prevede la soluzione contemporanea di almeno tre casi nel corso di una seduta del Tribunale, e mettendo a frutto la propria competenza storica e antiquaria, delle storie che, anche dal punto di vista criminale e detettivo, potessero interessare anche ai lettori occidentali, attuando una specie di sintesi tra le due tradizioni sorelle. Un’impresa abbastanza rischiosa, ma riuscita: il giudice Dee è uno dei personaggi più vivi del nostro genere preferito, come si vede bene da questa sua prima avventura, in cui, dalla remota città di Peng-lai, al confine coreano, risolve con disinvoltura un caso di contrabbando con ramificazioni a corte, chiarisce il mistero della morte del suo predecessore e sbriga un certo numero di problemi privati dei suoi amministrati. La scrittura è in perfetto equilibrio tra esibizione erudita e divertimento puro, la detection fila via che è un piacere e a tutti i personaggi della serie chi ancora non li conosce è sicuramente destinato ad affezionarsi. Quanto agli altri, li ritroveranno sicuramente con vero piacere.

    Robert Van Gulik, I delitti dell’oro cinese (The Chinese Gold Murders, 1965), tr. it. di Mariapaola Dèttore,"In-Asia" – ObarraO, pp. 218, € 12,00