Gli unici risultati prevedibili

La caccia | Trasmessa il: 11/04/2001



Questa settimana, a quanto sembra, i commentatori “seri” (intendendo per tali, con le debite virgolette, quelli che scrivono sulla grande stampa internazionale) si sono resi conto di una verità che a noi poveretti era già balenata da un pezzo: che la guerra, guarda un po’, sta andando malissimo.  E non sta andando male soltanto dal punto di vista di chi si trova sotto i bombardamenti, che non è cosa che, in sé, preoccuperebbe nessuno: va ancor peggio, forse, da quello di chi i bombardamenti li programma ed esegue.  Le possibilità di mettere le mani sul famigerato  Bin Laden (che probabilmente dall’Afganistan se ne è andato da un pezzo) si fanno sempre più remote e tutta la strategia esibita dagli Stati Uniti e dai loro alleati si rivela, da un momento all’altro, tragicamente inefficace.  Il regime dei talebani non si è affatto dissolto al primo colpo di missile, ma continua a esercitare un saldo controllo su buona parte di quell’infelice paese.  I bombardamenti non hanno modificato sensibilmente la situazione militare sul terreno.  I mujaddin dell’Alleanza del Nord non sono entrati trionfalmente a Kabul, né, d’altra parte, vista l’intricata situazione politica, sembra auspicabile che lo facciano.   Le prospettive di mettere insieme, in qualche modo, un governo amico si fanno, tra veti e controveti, sempre più remote.  L’opinione pubblica internazionale, e non soltanto nei paesi musulmani, comincia a reagire negativamente a una condotta di guerra che moltiplica le vittime civili senza apprezzabili risultati.  E intanto si sta avvicinando l’inverno e la possibilità che le forze degli Stati Uniti, all’alba del XXI secolo, si trovino impantanate nelle gelide vallate afgane, com’è già successo agli eserciti della Gran Bretagna nel XIX e a quelli dell’Unione Sovietica nel XX, si fa sempre più concreta.  Insomma, la più grande alleanza militare che la storia ricordi sta correndo ostensibilmente  il rischio di perdere la guerra contro uno dei paesi più poveri e smandrappati di tutto il pianeta.
        Sono cose, direte, che succedono da sempre.  Gli antichi, com’è noto, vedevano in qualsiasi esibizione troppo compiaciuta della propria potenza, in ogni indebito convincimento di superiorità, un peccato, una hbris, che portava in se stessa le ragioni della némesis, come  a dire che conteneva il presupposto del proprio rovesciamento.  E anche senza condividere questa concezione, forse un po’ meccanicistica, del bene e del male, tutti sanno per esperienza come le vicende umane siano, per propria natura, imprevedibili e infide.
        Tuttavia, che le cose potessero mettersi su questa via, Bush e i suoi generali potevano ben immaginarselo.  Che con gli attacchi missilistici, per quanto mirati, e con i bombardamenti, sia pure i più “intelligenti” del mondo, non si faccia molta strada avrebbe potuto insegnarglielo la doppia esperienza dell’aggressione all’Iraq nel 1990 e di quella alla Serbia nove anni dopo.  In ambo i casi l’attacco era stato sferrato nella prospettiva di un successo praticamente immediato e, per così dire, indolore e in ambo i casi gli aggressori si sono trovati, dal punto di vista militare e politico, nei guai fino al collo.  Mi permetterò anche di ricordare che in tutte e due le circostanze i risultati sono stati piuttosto deludenti, visto che Saddam Hussein è tuttora al potere e il suo regime continua a essere considerato un grave pericolo sul piano internazionale, mentre la stabilità politica nei Balcani, ancorché siano state spezzate le reni alla Serbia e Milosevic languisca in carcere all’Aja è ancora di là da venire.
        E allora, delle due l’una.  O siamo governati, a livello planetario, da perfetti imbecilli, che non azzeccano mai la più facile delle previsioni, o non ce la contano giusta.  Non ce la contano giusta perché sapevano benissimo che le cose sarebbero state come stanno andando e della cattura di Bin Laden e della rimozione dei talebani, in fondo, non gliene interessa più che tanto.  Dal punto di vista di chi sta al potere la guerra presenta sempre parecchi vantaggi, politici, ideologici e materiali.  Rafforza il consenso, distoglie l’attenzione dalle contraddizioni interne, sposta risorse in una direzione gradita a chi governa (non sarà un caso se nell’entourage di Bush non mancano i rappresentanti del complesso industriale militare) e tende, comunque, a diminuire il tasso di democrazia.  A questi vantaggi le classi dirigenti dell’Occidente non sembrano intenzionate a rinunciare.  Che, alla fin fine, la distanza tra chi sta in alto e chi sta in bassa sarà ancora più clamorosa è l’unico risultato che, allo stato delle cose, si possa ragionevolmente prevedere.

04.11.’01