Gli ultimi applausi

La caccia | Trasmessa il: 05/07/2006




Nell’ultimo romanzo di Andrea Camilleri – si intitola La vampa di agosto ed è stato pubblicato da Sellerio qualche settimana fa – c’è un passaggio in cui il commissario Montalbano discute con Fazio di funerali.  L’agente vuole sapere che significato ha l’usanza di applaudire le bare all’uscita della chiesa e l’ormai celebre questurino protagonista avanza un’ipotesi in merito.  Forse, spiega, vuol dire che il morto ha fatto bene a morire.  “Quann’è che si battono le mano?” infatti.  “Quanno una cosa ti è piaciuta.  A filo di logica dovrebbe perciò significare: mi è piaciuto assa’ che ti sei livato finalmente dai cabasisi.”  

       A filo di logica o no, sappiamo tutti che Montalbano è un ragazzaccio (come, del resto, il suo creatore) e non è il caso di prenderlo alla lettera.  L’applauso alle bare, nell’uso odierno, vuol esprimere approvazione e gratitudine per quello che il defunto ha fatto da vivo, soprattutto nel caso di chi abbia perso la vita al servizio della comunità.   È un’usanza, se ben ricordo, che si è inaugurata con i funerali delle vittime di terrorismo, viste (non sempre correttamente) come testimoni muti della volontà di resistere dello Stato, e non è un caso se oggi riguarda soprattutto i militari caduti in missione, quelli che ormai si definiscono, con un inutile sovrappiù di retorica, veri e propri “eroi”, anche se poi gli si negano gli onori previsti dalla tradizione militare, per non smentire la penosa finzione che vuole che la loro missione sia solo ed esclusivamente “di pace”.   Poi, si sa, certe costumanze si diffondono per imitazione e quel malinconico addio lo si rivolge anche ad altri: per esempio, come nel caso di cui racconta Camilleri, alle vittime innocenti di atti di violenza privata particolarmente efferati e non è detto che un giorno non si finisca col rivolgerlo a tutti, facendone un rituale comune come quello del levarsi il cappello, ma la logica di questi fenomeni è nota e non vale la pena di scandalizzarsene.

       Eppure, non so voi, ma io un poco me ne scandalizzo.  Trovo quella forma di omaggio estremamente inappropriata e mi piacerebbe che si facesse qualcosa per porvi fine.  So che quei battimani di solito sono in buonafede, che esprimono sentimenti sinceri e partecipati, ma temo lo stesso che, nella circostanza, possano rappresentare una sia pur involontaria mancanza di rispetto.  Un esito che tutti dovremmo concordemente deprecare.

       Vedete, la settimana scorsa vi parlavo dei fischi ai politici, sostenendone la piena liceità e questo, in teoria, dovrebbe andare contro la tesi che ho appena espresso.  I fischi, nell’uso corrente, rappresentano la controparte simmetrica degli applausi, e si potrebbe pensare che se si usano gli uni, anche al di fuori dei teatri e degli stadi, per esprimere la propria disapprovazione, si può benissimo ricorrere agli altri per approvare.  Ma questa specie di simmetria, gira e rigira, non riesce a convincermi.  Forse perché fischi e applausi continuano a rimandare, nonostante tutto, al contesto in cui sono nati, che è quello dello spettacolo, e mentre non c’è nulla di veramente incompatibile tra spettacolo e lotta politica, specie da quando le campagne elettorali si fanno in televisione, l’idea di spettacolarizzare i funerali, istintivamente, ripugna.  Ogni spettacolo, in sé, rappresenta una forma di finzione e quello del rito funebre è il momento in cui, di necessità, ogni finzione è destinata a cadere.  È un’occasione cui meglio si addice il rispettoso silenzio e personalmente resto convinto del fatto che il vero modo di onorare i caduti sia sempre quello di lottare per la pace, coprendo di fischi, se nel caso, quei vivi che continuano a confidare nelle virtù taumaturgiche delle spedizioni militari.  Ma su questo, naturalmente, immagino siate d’accordo anche voi.

07.05.’06