Gli effetti economici della menzogna

La caccia | Trasmessa il: 01/16/2011


    La cittadina di Wesport, nella contea di Mayo, Repubblica d'Irlanda, è legata nei miei ricordi a un episodio specifico. Quando mi capitò di passarci, nell'agosto del 1985, faceva più freddo di quanto la stagione non facesse prevedere e fui costretto a comprare un maglione. Lo feci piuttosto di malavoglia, perché mi sembrava un po' troppo costoso (viaggiavamo a quei tempi, io e la Nuccia, in regime di stretta economia), ma non sapevo che sarebbe stato l'affare della mia vita. In effetti, quel capo lo porto ancor oggi: è in ottime condizioni e, visto che, con gli anni, mi ci sono affezionato, spero di continuare a portarlo ancora quanto possibile. Non si trattava, va precisato, di un oggetto di produzione locale: veniva dalle isole Aran, qualche decina di miglia più in là nell'Atlantico, patria di pecore rinomate e di espertissime lavoratrici della loro lana, ma a ne ricorderà sempre quella città, una manciata di case addensate al vertice di uno di quegli strani fiordi irlandesi a due dimensioni, nel senso che non sono delimitati da rocce scoscese come i loro omologhi in Scandinavia, ma si aprono tra verdissimi pascoli che scendono dolcemente al mare. Il posto, se ben ricordo, era piacevole, ma non vantava straordinarie attrazioni turistiche: c'erano un paio di pub, un albergo alquanto spartano e una High Street con qualche bottega, tra cui una specie di combinazione tra merceria e negozio di articoli sportivi in cui mi fu venduto, appunto, il maglione. Non sembrava, nel complesso, un centro particolarmente prospero, anche secondo gli standard di una Irlanda che, allora, non intravedeva neanche l'inizio della sua effimera prosperità.
    Leggo adesso (su “Repubblica” di lunedì scorso) che l'unico posto in tutta l'Isola di Smeraldo che in questa fase di recessione mantiene un'economia prospera e un livello di vita corrispondente è proprio Westport e non, come si potrebbe supporre, grazie al commercio dei maglioni. Macché: nelle sue vicinanze, “dietro una futuristica scatola di vetro e acciaio … si nasconde una moderna fontana della giovinezza”. Ivi, di fatto, si concentra l'intera produzione mondiale di Botox, “il siero che ha fatto scomparire le rughe dal volto di stelle del cinema, divi del pop, presentatrici televisive e da milioni di persone disposte a farsi iniettare un minuscolo ago nelle tempie”.
    In vent'anni, apprendo, la fabbrica relativa, con i suoi ottocento dipendenti, “ha prodotto più di 26 milioni di fiale di una sostanza chimica conosciuta ufficialmente come Botulinum, generando 370 milioni l'anno di fatturato”. Qui, a quanto pare, “non è mai arrivata la recessione che ha sgonfiato il boom della Tigre Celtica”: “la fabbrichetta di Westport espande i profitti al ritmo del 10 per cento annuo” e “il meglio,” come assicura l'amministratore delegato, “deve ancora venire”.
    Ora, il Botox (o Botulinum che sia), a quanto mi è sembrato di capire, non è un prodotto miracoloso che spiana l'epidermide in via definitiva. Se iniettato sotto pelle può “rilassare, di fatto paralizzandoli, i muscoli del viso”, facendo sparire le rughe dalla fronte e dal resto della faccia. Ma tempo tre o quattro mesi la paralisi passa e le rughe ricompaiono, onde la necessità di ripetere l'operazione. Il prodotto dunque, anche se si parla molto, per il futuro, di nuove importanti applicazioni di tipo terapeutico, ha per ora soprattutto un effetto cosmesi: è, di fatto, un cosmetico, il cui uso, come quello del rossetto, delle protasi pettorali al silicone e dei parrucchini, permette ai fruitori di apparire agli occhi degli altri per quello che in realtà non sono, occultando i segni degli anni e restituendo l'immagine, falsa ma lusinghiera, della giovinezza perduta.
    Insomma, si potrebbe concludere che l'anomala prosperità di questo angolo di Irlanda si fonda sullo smercio, se non proprio di una menzogna (perché la menzogna va categorizzata a carico di chi usa il prodotto, non di chi lo produce e lo smercia), della possibilità di mentire, o, meglio ancora, della tecnologia necessaria per farlo. La tipologia della produzione – In Irlanda come altrove – si è evoluta seguendo la dinamica dei bisogni sociali e oggi a Wesport non ci si preoccupa tanto della necessità di ripararsi con un spesso tessuto di lana dai gelidi venti dell'ovest (vi ci si provvede anche lì con altri manufatti, prodotti magari in Indonesia), quanto a quella di offrire al prossimo un immagine accattivante di sè. E mentre i maglioni li potevi vendere solo sotto quel clima, il Botox ha un mercato mondiale in espansione continua.
    A un vecchio moralista come me, vi confesso, questo primato della menzogna fa un po' di tristezza. Preferirei un mondo in cui tutti si tenessero le loro rughe e le loro zampe di gallina, nella convinzione che non c'è niente di disdicevole nel dimostrare la propria età, anzi, che è inutile provare a nasconderla, tanto gli altri non sono scemi e che l'assenza di rughe sul tuo viso sia un effetto artificiale lo capiscono benissimo.
    D'altra parte, non vorrei darvi l'impressione di contestare agli abitanti di Westport e dintorni il diritto al loro persistente benessere (persistente almeno finché qualcuno non deciderà di delocalizzare la produzione in Burkina Faso o in Nuova Guinea, con o senza un bel referendum). Il loro caso, in fondo, non è eccezionale come sembra. Lo smercio di succedanei della verità è pratica largamente diffusa. E non mi riferisco, come potreste pensare, al nostro Presidente del Consiglio, che opera nel ramo comunicazioni, in cui la menzogna ha un ruolo, per così dire, istituzionale. Ma pensate a Marchionne, il sommo imprenditore, che si sente in diritto di chiedere agli operai di rinunciare a un certo numero di diritti acquisiti in cambio di una promessa di nuovi investimenti. Una promessa, di per sé, non è una menzogna, ma questa si fonda su alcuni elementi che danno da pensare. Marchionne promette, in sostanza, di vendere più automobili, molte più automobili di quante ne escano oggi da tutti gli stabilimenti Fiat. Che sarebbe, chi ci crede, un bel risultato, salvo il fatto che lui, finora, di automobili in più non ne ha venduta una che sia una, anzi, ha diminuito la produzione, se non erro, di un buon terzo, il che non fa prevedere molto di buono per il futuro. Corre voce che abbia salvato la ditta dal fallimento, ma in sostanza ne ha aumentato solo il valore in borsa e il valore in borsa è appunto cosa diversa del valore sostanziale. Non mi permetterei mai di insinuare che il tipo sia in bugiardo, o uno specialista in cosmesi, ma è poco ma sicuro che, per ottenere i suoi scopi, è abituato a giocare su piani diversi della realtà.
    E allora? Allora niente. Auguriamoci solo che le sue promesse si realizzino e che i gli acquirenti di Botolinum continuino a credere nel valore dell'apparenza fine a se stessa. Da questo punto di vista, vi dirò, la situazione dei lavoratori di Westport mi sembra un poco più solida di quella degli operai di Torino. E il guaio è che in Piemonte, ormai, non si fanno più neanche i maglioni.