Gli attributi del vero statista

La caccia | Trasmessa il: 03/10/2002



Il Presidente Berlusconi, rendiamo onore al merito, è uno che, quando vuole, riesce a farsi capire benissimo.  Non sarà quello che si dice la bocca della verità, nel senso che i suoi discorsi sono spesso finalizzati al perseguimento di un interesse, personale o di parte, e di fronte all’interesse, in questo mondo imperfetto, non c’è verità che tenga, ma nel rendere chiaro a chiunque il proprio pensiero, o almeno quella parte del suo pensiero che desidera rendere chiaro, non c’è proprio nessuno che lo possa battere.  Anche questa, naturalmente, è una delle componenti importanti del suo successo: i molti (troppi) cittadini che l’hanno votato hanno visto nella sua apparente franchezza un salutare antidoto alle complesse ambiguità semantiche che caratterizzavano le comunicazioni politiche nella Prima Repubblica, quelle a cui sono tanto attaccati anche oggi i politici che ne hanno raccolto l’eredità.  Su chi si ricorda, ogni tanto, delle “convergenze parallele”, del “compromesso storico” e di altre analoghe fumisterie, la sana improntitudine di uno che non si vergogna di dichiarare che il suo obiettivo, oggi, è quello di salvare l’Italia dal comunismo, o di sostenere che i magistrati che hanno indagato sulla pubblica corruzione hanno scatenato nel paese una “guerra civile” fa sempre un certo effetto.
        È per questo che siamo restati tutti piuttosto delusi nel vedere quel mago delle comunicazioni infilarsi a capofitto nelle ambiguità di cui gronda un passaggio ormai celebre del suo discorso di domenica scorsa al congresso della Lega Nord: quello, per intenderci, dei lunedì.  Quei lunedì sera, come ha spiegato il Premier ai delegati padani, dopo aver ricordato i consigli della mamma e lodate le virtù salutari della polenta e ossbuss, che lui una volta dedicava alla moglie, anzi, espressamente “all’amore”.  E fin qui, naturalmente, passi: l’accenno non sarà stato forse di buon gusto, e l’usanza di dedicare all’amore un giorno della settimana, e sempre quello, non rientrerà esattamente nelle manifestazioni canoniche della passione romantica, ma i leghisti, si sa, sono gente di bocca buona e l’idea che un uomo di quell’età, uno che in fondo è già nonno, anche se di solito non lo va a dire in giro, trovi ancora il tempo e le energie per dedicarsi all’amore, non può che fare buona impressione.  L’ammirazione, più o meno tinta di invidia, della virilità del capo è sempre stata diffusa in certi settori del paese.   E molti statisti, storicamente, non sono stati alieni dallo sfruttare questa tendenza.  Tanto per citare due figure che non mi sembrano del tutto estranee all’albero genealogico dell’attuale maggioranza di governo, Mussolini faceva filtrare con una certa liberalità le notizie sui suoi adulteri, né a Craxi dispiaceva che si sussurrasse, magari a capocchia, delle sue presunte amanti.  Non per niente, per indicare il possesso di eminenti capacità decisionali e di una fermezza ideologica superiore alla media, si è solito riconoscere a quelle e analoghe figure, con una metafora forse troppo colorita, che non mi permetterò in questa sede di citare verbatim, il possesso di taluni attributi tipicamente maschili.
        Ma poi il Premier ha aggiunto che da quando ha dato retta alla mamma, che l’esortava a riprendere i rapporti col Bossi (dagh on basin e di’ che ghel mandi mi) le cose, per lui, sono cambiate.  L’agenda del leader padano, con tutto il da fare che ha, era straordinariamente impegnata.  In pratica, guarda che sfiga, aveva libero soltanto il lunedì sera.  E il povero Berlusca non ha potuto far altro che abbozzare: da allora quel giorno lo dedica all’Umbertone.  Anzi, il suo lunedì sera, ormai, “si chiama Umberto Bossi”.
        I congressisti, lì per lì, hanno applaudito da spellarsi le mani.  Ma poi, chissà, ci avranno ripensato.  Le delegate, magari, si saranno chieste come l’abbia presa, povera tosa, la Veronica.  E i maliziosi, perché ce ne sono – purtroppo – anche a nord della linea gotica, avranno persino potuto supporre che, visto che i basin sono come i scirés, che l’una tira l’altra, tra i due leader sia scattata, per così dire, una scintilla non esattamente politica.  Niente di male, figuriamoci, con i tempi che corrono, ma, insomma, chi l’avrebbe mai pensato?
        Scherzo, naturalmente.  Ma in quel discorso un non so che di ambiguo lo si sentiva proprio ed è per questo, suppongo, che ha colpito tanto i commentatori.  Io, sinceramente, non saprei divinare che cosa si proponesse con precisione il Presidente del Consiglio.  Probabilmente avrà voluto far intendere che, ligio al dovere qual è, lui è sempre stato disposto a ogni sacrificio, ma poi, rendendosi conto del fatto che non è un complimento spiegare a qualcuno che frequentare il suo leader carismatico rappresenta un sacrificio degno di nota, avrà calcato, come gli capita spesso, la mano, cadendo fatalmente nell’ambiguità.   Avrà, insomma, ceduto a quello che, a mio avviso, rappresenta il suo peggior difetto caratteriale, quello da cui massimamente deve guardarsi in vista della lunga carriera politica cui aspira, e che non è, credetemi, il conflitto di interessi, ma la piacenteria, quell’aréskeia che il vecchio Teofrasto definiva “un modo di fare che tende a dar piacere con uno scopo che non è dei più onesti”, ma che in Berlusconi, credo, si è fatto fine a sé stesso, a prescindere da qualsiasi finalità adulatoria o di interessata captatio benevolentiae.   Ed è un difetto molto pericoloso, perché il conflitto di interessi lo si potrà anche governare, un giorno o l’altro, con una legge adeguata (non con questa, ovviamente) ma la piacenteria, in uno statista dotato di tanti poteri quanti se ne sta prendendo lui, può portare a delle conseguenze assolutamente catastrofiche. È stata questa tendenza, in fondo, a metterci nei guai – mesi fa – con l’intero mondo islamico e a spingerci, in seguito, a un intervento diretto nel conflitto afgano che nessuno ci aveva richiesto.  Un uomo così, pur di compiacere i suoi interlocutori del momento, può assumere, senza neanche rendersene conto, degli impegni di cui potrebbe, in seconda istanza, dispiacersi assai.  E noi, naturalmente, con lui.

Sia come sia, Berlusconi un record l’ha conquistato.   È stato il primo politico di cui mi sovvenga in tutta la nostra storia recente a parlare in pubblico, sia pure per accenni abbastanza discreti, della propria vita sessuale.  E non vale citare gli esempi del pio Formigoni o dell’intrepida Rosy Bindi, che in anni più o meno recenti hanno trovato il modo di dichiarare di non averne alcuna.  Costoro, a parte il fatto che riservavano simili confidenze alle interviste e non alle platee congressuali, lo facevano soprattutto per testimoniare un adeguamento, in un certo senso obbligato, a una normativa ideologica che avevano pubblicamente accettata.   E poi una cosa sono le ricusazioni, un’altra le affermazioni in positivo.  Il fatto è che il Presidente del Consiglio, come dicevamo all’inizio, non è uomo che soffra di inibizioni.  Quando vuol dire qualcosa, non ci sta ad arzigogolare sopra: la dice e amen.  In questa particolare forma di decisionismo, in questa indifferenza alle convenienze che non convengono a lui, consistono, a ben vedere, i suoi veri attributi.

10.03.’02