Gli asini del Vaticano

La caccia | Trasmessa il: 12/21/2008


    Mi sembra di ricordare dalle mie giovanili letture di Kipling come un'antica massima indiana raccomandi all'asino di non dare del somaro al cavallo. O forse non di cavalli e somari si tratta, ma di maiali e cammelli, bufali e serpenti o chissà che altro: il senso resta chiarissimo quali che siano le specie animali coinvolte. A me, così, la citazione è tornata alla mente quando ho letto del recente scambio di cortesie tra l'onorevole Fini, Presidente della Camera dei deputati, e l' “Osservatore romano”. Sembra infatti che al Fini, che, s'era permesso di osservare, in non so quale circostanza, che tra quanti cercarono di contrastare le infauste leggi razziali non vi fu certo la chiesa cattolica “salvo talune luminose eccezioni”, l'organo ufficiale della Santa Sede abbia replicato, in un corsivo autorevolmente anonimo, che sorprendeva e amareggiava il fatto che “uno degli eredi politici del fascismo – che dell'infamia delle leggi razziali fu unico responsabile e dal quale da tempo egli vuole lodevolmente prendere le distanze – chiami ora in causa la Chiesa cattolica” dimostrando con ciò “approssimazione storica e meschino opportunismo politico”. Al che il Presidente, che a simili inviti a ritornare – per così dire – nelle fogne fasciste non era più avvezzo nemmeno nei rapporti con l'estrema sinistra, ha ribattuto che “opportunismo sarebbe stato far finta di nulla di fronte a una questione storica più volte discussa in ambienti vaticani”, una sorta di “Beccati questa” che sulla bocca del titolare di un'alta carica dello stato nel nostro paese non si sentiva, più o meno, da un secolo e mezzo. E ammetterete che un simile scambio di accuse di opportunismo tra il portavoce di una organizzazione che in materia non ha mai avuto rivali e colui che, pur di cogliere l'opportunità di andare al governo, non esitò a buttare a mare nello spazio di un paio di pomeriggi la propria eredità ideologica e storica ricorda molto da vicino la massima da cui siamo partiti, anche se naturalmente è difficile dire chi, nella circostanza, rivesta il ruolo dell'asino e chi quello del cavallo.
    Poi, naturalmente, l'hanno rappattumata, perché chiesa cattolica e centrodestra non hanno interesse, oggi come ieri, a farsi il viso dell'arme ed è probabile che Fini, incontrando monsignor Fisichella, cappellano di Montecitorio, prima della messa natalizia per i deputati, oltre a negare che ci fosse “alcun disegno politico” nelle sue parole, abbia promesso di non farlo più. Peccato, naturalmente, perché non sul fatto che quelle affermazioni, quali che fossero le sue intenzioni nel pronunciarle, un certo loro solido fondamento lo abbiano non ci piove davvero. Probabilmente il leader di AN, da bravo ex fascista riciclato, voleva semplicemente allargare la sfera delle responsabilità dell'obbrobrio razzista oltre la propria parte politica, ma che la chiesa, in quella triste circostanza, non abbia fatto moltissimo non si può seriamente mettere in dubbio. Anche a prescindere dalle affermazioni dei singoli, come quel padre Agostino Gemelli che ci ricordava l'Accame domenica scorsa, per cui la messa al bando degli ebrei si poteva commentare osservando che “tragica, senza dubbio e dolorosa” era “la situazione di coloro che non possono far parte, e per il loro sangue e per la loro religione, di questa magnifica patria”, nel che ravvisava l'avverarsi di “quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di sé”, non è tanto facile trovare delle prese di posizione ufficiali della chiesa in materia. L'ambasciatore italiano presso la Santa Sede, si sa, poteva tranquillizzare il governo fascista con un telespresso in cui si leggeva che “le recenti deliberazioni del Gran Consiglio in tema di difesa della razza non hanno trovato in complesso in Vaticano sfavorevoli accoglienze” e l'unica critica reperibile sull' “Osservatore romano” fu quella per cui la condanna di “ogni e qualsiasi matrimonio tra cittadini italiani di razza ariana e persone appartenenti ad altre razze” doveva essere considerata in contrasto con la vigente legge canonica. Il Santo Uffizio aveva condannato l'antisemitismo nel 1928, ma la “Civiltà cattolica” aveva limitato il pronunciamento, che pure sarebbe stato ribadito da Pio XI dieci anni più tardi, ribadendo il permanere del “pericolo giudaico” e vantando a proprio merito “l'averlo sempre denunciato”. Quanto a Pio XII, è noto come abbia deciso di non pubblicare l'enciclica antinazista che il suo predecessore aveva lasciato incompiuta, un documento in cui, comunque, si poteva ancora leggere che “l'alta dignità che la Chiesa ha sempre riconosciuto alla missione storica del popolo ebraico ... non la rende tuttavia cieca sui pericoli spirituali che possono correre le anime in contatto con gli ebrei” e si metteva “in guardia” contro “i troppo facili rapporti con la comunità ebraica”. Sono tutte verità, queste, ormai largamente note, ma chiunque voglia approfondire il tema ha oggi a disposizione la vasta raccolta di testi commentati da Walter Peruzzi nel suo Il cattolicesimo reale, uscito di recente per i tipi della Odradek edizioni. Vi troverà ampiamente documentata, tra l'altro, l'evoluzione del concetto chiesastico di “popolo deicida”, su cui si sono fondati tutti i pronunciamenti antisemiti almeno fino al XIX secolo.
    Ahimè. Sull'ebraismo non pesa più (forse) l'accusa di deicidio, ma l'ombra lunga dell'antisemitismo cattolico aduggia ancora la nostra cultura. È per questo che neanche agli amici è lecito farvi riferimento, pur nei modi discreti e prudenti usati dall'incauto Fini. È una questione di consapevolezza negata o, se preferite, di coda di paglia. L'asino sa benissimo di essere un somaro e non gradisce che glielo si ricordi. Non gli interessa la verità, quando se ne informa lo fa solo per celia e, comunque, non sta mai ad ascoltare la risposta.

    21.12.08


    Nota

    Del volume di Walter Peruzzi si confronti, per il nostro problema, la sezione “L'antisemitismo”, pagg. 272-304.