Il cartoncino che mi è giunto per posta
è sobrio ed elegante, come ben si addice alle consuetudini grafiche di
chi l’ha prodoto, e mi invita , per le ore 18 del tal giorno, presso la
tal libreria del centro cittadino, alla presentazione dell’ultimo volume
uscito nei “Millenni Einaudi”. È una collana che suppongo conosciate
anche voi: sono quei volumoni rilegati dalla sovracoperta bianca lucida
in cui la celebre casa editrice torinese suole pubblicare i classici di
tutte le epoche e di tutte le culture, da Proust all’Antologia Palatina,
da Guerra e Pace all’opera omnia di Chaucer. Solo che questa volta
l’autore appartiene, se così si può dire, a una diversa dimensione letteraria,
nel senso che per essere grande è grande senz’altro, ma non di una grandezza
che normalmente si soglia collocare sullo stesso livello di quella di Proust
e di Tolstoi. Si tratta, per farla breve, di Emilio Salgari (o Sálgari,
come – nonostante tutto – preferisco continuare a chiamarlo), ai cui
“Romanzi di giungla e di mare” il volume è intitolato. Di quali
romanzi si tratti non si specifica, né è facile indovinarlo, visto che
un buon ottanta per cento della produzione del prolifico autore veronese
è ambientata in questa o quella giungla o sull’uno o sull’altro mare,
ma basta una rapida inchiesta in libreria per scoprire che il libro raccoglie
due opere assai conosciute, Le tigri di Mompracem e I misteri della giungla
nera, cui si affianca, come si usa in volumi di questo tipo, una trouvaille
meno nota: una Avventura sull’Oceano Pacifico che non avevo mai sentito
nominare e di cui, in verità, non mi dispiacerebbe fare la conoscenza.
La
mia prima reazione, naturalmente, è di compiacimento. Appassionato
lettore di Salgari in età giovanile (ma, vi confesso anche dopo), e accanito
lettore di narrativa trash per tutta una vita, sono lieto che un
autore a me caro, che un tempo con il trash veniva identificato quasi automaticamente,
sia oggi assunto in quella che dal punto di vista editoriale può essere
considerata, se non proprio l’Olimpo della letteratura mondiale, una sede
di tutto rispetto. Anche le collane editoriali, si sa, hanno uno
status culturale e sociale, uno status che si estende ipso facto ai libri
che vi compaiono, e i Millenni Einaudi non saranno l’Universale della
Gallimard, ma qui in Italia si collocano decisamente al top.
D’altro
canto… d’altro canto c’è qualcosa che mi lascia perplesso. Ho
come l’impressione che pubblicare tre romanzi del creatore di Sandokan
e del Corsaro Nero nella stessa collana dell’Iliade possa significare
qualcosa d’altro che un riconoscimento di eccellenza. Non perché
tema che in quella troppo eccelsa compagnia il nostro autore possa sentirsi
a disagio: ho sempre sostenuto che non esistono scrittori di serie A e
di serie B, non foss’altro perché ogni autore va giudicato secondo i criteri
che gli si addicono e non secondo quelli che si addicono ad altri, per
cui un confronto, diciamo, tra le Tigri di Mompracem e la Recherche avrebbe
ancora meno senso di quello tra una qualsiasi delle due opere e il Mahabharata.
Ma, che volete, non riesco a superare il sospetto che i curatori
di quella collana non la pensino esattamente così. Che, da parte
loro, il bel gesto di avere inserito Salgari tra i sommi puzzi, per così
dire, di condiscendenza, come quello di un aristocratico dei tempi andati
che, una volta ogni tanto, convitasse i villici nei saloni del castello
e ne traesse compiacimento e implementazione dell’autostima, senza neanche
accorgersi di dimostrare, nei confronti dei presunti beneficati, una mancanza
di rispetto non lieve.
Ci
ho pensato un po’ su e ho capito da cosa nascesse quel sospetto.
Derivava dal titolo del volume: da quel Romanzi di giungla e di mare che
meno salgariano non potrebbe essere e che, pensa che ci ripensa, riecheggia
volutamente quello dei Racconti di mare e di costa di Conrad, come se si
fosse voluto, in qualche modo, nobilitare l’opera di un maestro della
narrativa di consumo paragonandola a quella di un autore ostentatamente
“serio”, un aggettivo che non significa niente sul piano dei valori letterari,
ma molto su quello delle gerarchie. Sulle gerarchie, d’altronde,
si fonda la struttura del mondo culturale italiano, editoria compresa,
e non ci si può aspettare che ne prescinda chi gode in quel mondo di una
posizione eminente. Il che, a pensarci bene, non è un problema da
poco, perché a dividere le proposte culturali secondo una gerarchia accreditata
si hanno ottime possibilità di farsi sfuggire novità e proposte stimolanti
e di dare importanza alle imitazioni e alle ripetizioni del già noto, di
proporre all’inclito pubblico un sistema di valori fossilizzato e conservatore.
E questa, come ben sappiamo in questi giorni di berlusconismo trionfante,
non è una questione che riguardi solo l’editoria.
Ahimè.
Non sono andato alla presentazione e ho deciso di non acquistare
il volume. La decisione un po’ mi rallegra, perché presumo, dati
i prezzi di quella collana, che mi farà risparmiare non meno di un centinaio
di carte, e un po’ mi dispiace, perché Un’avventura sull’Oceano Pacifico,
che volete, l’avrei letta volentieri. Ma bisogna essere coerenti.
Se poi qualche ascoltatore gentile, visto che siamo sotto Natale,
decidesse di mandarmelo in dono, vedrò come regolarmi.
Carlo Oliva, 16.12.’01