Fissazioni

La caccia | Trasmessa il: 11/08/1998



Il Presidente del Consiglio, a uno dei suoi alleati che si rammaricava, in Parlamento, per la decisione governativa di stanziare la bazzecola di 1.200 miliardi a favore della scuola privata, ha risposto che la storia va avanti.  Ad analoghi argomenti è ricorso il Ministro della Pubblica Istruzione in occasione di non ricordo più quale dibattito televisivo.  La storia va avanti e fa piazza pulita di problemi obsoleti e di polemiche ormai senza significato.  Ostinarsi a difendere i postulati dello stato laico, quelli per cui le chiese, con tutto il rispetto dovuto, sono organizzazioni sostanzialmente private, che debbono essere libere di svolgere le proprie funzioni, figuriamoci, ma non possono pretendere a tal fine l’appoggio di quello che una volta si chiamava il braccio secolare, che anzi ha il preciso dovere di vigilare perché nessuna di esse prevarichi la libertà di coscienza dei cittadini, significa soltanto coltivare una propria personale fissazione, indulgere a un anticlericalismo fuori del tempo.  Chi si ostina a farlo va, più che combattuto, ignorato.  E – soprattutto – compatito.
        Credo che a nessuno dei nostri ascoltatori sfugga come, con questo tipo di argomentazioni, si possa sostenere praticamente di tutto.   La storia va sempre avanti, nel senso che finora a nessuno è riuscito di invertire la direzione del tempo, e tutto quello che resta indietro è, per definizione, superato.  Basta conferire a queste ovvie metafore spaziali un valore assoluto e il gioco è fatto.  Ma le ovvietà restano ovvietà e dire che la storia va avanti non è molto diverso che sostenere che è meglio essere vivi che morti.  O, nel caso, che chi vince ha sempre ragione.
        D’Alema e Berlinguer appartengono a una tradizione che non ha mai annesso particolare importanza alle tematiche laiciste e hanno, naturalmente, le loro gatte da pelare.  Dipendono per restare in sella del voto dei popolari e dei gladiatori e hanno, soprattutto, bisogno della benevolenza dei vescovi, a partire da quello di Roma, che, si sa, una certa influenza nel nostro paese la esercita.  Per cui hanno deciso di comperarsi quel voto e quella benevolenza al prezzo, in fondo tutt’altro che esagerato, di 1.200 miliardi.  È vero che i finanziamenti alla scuola privata sono esclusi dalla Costituzione, ma anche la Costituzione – perbacco! – è stata scritta qualche anno fa e può considerarsi a pieno titolo superata.
        Sembra tuttavia che l’argomento, nonostante la sua esaustività, non convinca fino in fondo nemmeno loro.  Infatti ne hanno elaborato un altro, che il Ministro della Pubblica Istruzione ha largamente diffuso nella settimana testé trascorsa, tra l’altro con un’intervista alla nostra radio.  Nessuno, ha spiegato, intende violare la Costituzione, perché quei soldi non andranno (sì, avete capito bene, non andranno) alla scuola privata.  Andranno agli studenti bisognosi, in nome del diritto allo studio, per permettergli di affrontare le spese dell’istruzione.  Certo, se qualcuno di loro se ne vorrà servire per pagare le rette delle scuole dei preti e delle suore non glielo si potrà impedire.  Ma il diritto allo studio è il diritto allo studio, no?, e ognuno può decidere a piacer suo in quale sede esercitarlo.
        In un paese in cui l’istruzione pubblica, notoriamente, è gratuita in ogni ordine e grado, e se non lo è dovrebbe esserlo, questo secondo argomento è straordinariamente capzioso.  Non riesce certo a nascondere l’ovvia verità per cui quei quattrini escono comunque dalle casse dello stato e finiranno comunque in quelle del clero.  E allora eccone un terzo: anche le scuole del clero, ci siamo sentiti spiegare in questi giorni, sono pubbliche.   Sono aperte a chiunque voglia frequentarle: esercitano, quindi, una funzione pubblica, una benefica funzione di supplenza alle manchevolezze di uno stato che, con tutta la sua buona volontà, non può assicurare a tutti la scuola che fa per loro.
        E forse a questo punto sarebbe veramente il caso di pregare il Presidente del Consiglio, il Ministro della Pubblica Istruzione e i loro portavoce e reggicoda vari di smetterla di dire troppe asinate.  Perché è qui che sta precisamente il problema del finanziamento alle scuole private.  In fondo un articolo della Costituzione si può sempre abrogare, o modificare, o interpretare creativamente e anche se quest’ultima soluzione non è forse la più corretta non ce ne scandalizzeremmo più che tanto.  Ma ci scandalizziamo, e non poco, all’idea di affidare a una chiesa (o a più chiese) una funzione di supplenza pubblica.   Non scherziamo.  Le chiese, si sa, non sono tenute a garantire la libertà dei coscienza dei loro adepti.  Quando gestiscono delle scuole non lo fanno per amore disinteressato della cultura: di fatto, il loro progetto educativo prevede immancabilmente l’impiego di insegnanti selezionati in base a criteri di omogeneità ideologica, con l’ovvio fine di imporre ai discenti la stessa omogeneità.  Si può discutere a lungo se questo sia lecito e ammissibile in una società pluralista, in cui il confronto e la libera scelta tra opzioni ideologiche diverse dovrebbero essere considerati valori intangibili e fondamentali e l’educazione dovrebbe essere soprattutto educazione al dialogo, ma è poco ma sicuro che non può trattarsi di un progetto che riguardi l’intera comunità.  Pretendere di realizzarlo a spese pubbliche, con i quattrini di chi non lo condivide, ma è destinato, anzi, a esserne danneggiato, è chiedere veramente troppo.  Sarà una fissazione, ma è una fissazione a cui continuiamo a essere affezionati.
08.11.’98