“Cercasi fidanzata”. O anche,
visto che, a quanto si dice, viviamo in un’epoca di pari opportunità,
“cercasi fidanzato”. Le due scritte, le avrete notate anche voi,
campeggiano perentorie da qualche tempo su tutti i cantoni della città,
grazie a certi manifesti a caratteri di scatola resi particolarmente visibili
da un’impostazione grafica aggressiva, che fa seguire a un “cercasi”
in grandi caratteri bianchi su fondo nero, che ricorda l’impostazione
di quei cartelli con cui, tradizionalmente, si cerca casa, un “fidanzato”
(o “fidanzata”) graffitato su fondo giallo o viola in una specie di corsivo
a mano, come se si trattasse dell’aggiunta, estemporanea e un po’ sbarazzina,
di qualcuno che si è improvvisamente reso conto di aver bisogno, più che
di un trilocale doppi servizi cucina abitabile piano alto, di un compagno,
di una compagna o, come più modernamente si dice, di un partner. Il
tutto, come si può riscontrare studiando il manifesto con la dovuta attenzione,
per fare pubblicità a una certa marca di preservativi.
Nulla
di cui scandalizzarsi, naturalmente. Anche se un tempo la pubblicità
dei profilattici era severamente vietata, per motivi eugenetici e in omaggio
a quel ben noto principio della morale cattolica che ammette l’attività
sessuale al solo fine della propagazione della specie, quel divieto è caduto
da parecchio e a veder reclamizzato quel particolare articolo siamo ormai
più che abituati. Oltretutto, con i tempi che corrono, con tutti
i flagelli a trasmissione sessuale che affliggono la salute pubblica, raccomandarne
l’uso è un’attività utile e meritevole, alla quale infatti si dedicano,
con vario zelo, enti pubblici e stimabilissime organizzazioni senza fini
di lucro. Sì, nei programmi di chi ha commissionato o realizzato
quei manifesti il fine di lucro, probabilmente, c’è, ma questo, in definitiva,
non ci riguarda. Sull’opportunità che i fidanzati di ambo i sessi
abbiano sempre sottomano una certa quantità di prodotti del genere, di
quella o altra marca, non si può che concordare.
Certo,
una pubblicità del genere ci fa capire che i tempi cambiano. Non
solo nel senso che ciò che una volta era vietato adesso è permesso, che
in fondo sarebbe una banalità, e poi in certi casi avviene anche il contrario.
Ci fa capire che tempi cambiano perché sono cambiate le parole con
le quali comunichiamo tra noi. Leggendo quel “cercasi fidanzato” (o “fidanzata”)
nessuno oggi avrà il minimo dubbio sull’oggetto della ricerca e sul suo
fine, ma è poco ma sicuro che l’impegno semantico – diciamo così – su
cui si fonda questa certezza si è affermato in data piuttosto recente.
Ai tempi, non dico di mio nonno, ma della mia giovinezza, i rapporti
tra i fidanzati, come li definiva e auspicava la cultura corrente, non
erano tali da richiedere l’uso del preservativo. Anzi, a chi si
fregiava di quel termine le attività nelle quali un preservativo avrebbe
potuto tornare effettivamente utile venivano, se non vietate ai sensi di
legge, fortemente sconsigliate. I fidanzati maschi, certo, avevano
ampia facoltà di proporle alle loro controparti, ma alle femmine fidanzate
si spiegava che se avessero acconsentito non sarebbero loro restate molte
probabilità di rimanere tali. In pratica, le coppie che usavano il
profilattico non appartenevano per definizione alla categoria dei fidanzati,
nel senso che o non lo erano più o non lo sarebbero stati mai.
Insomma: per usare la parola nel
senso in cui la usa quella pubblicità è stata necessaria tutta quell’opera
di inesausta ricategorizzazione semantica, che sempre riflette (o, semplicemente,
accompagna) la trasformazione dei sistemi di valori che i parlanti via
via accettano come propri. È in questo senso che la lingua “cambia”
con il cambiare della società, con buona pace del compianto Giuseppe Stalin,
che nel 1950 scrisse (o fece scrivere) un opuscolo su Il marxismo e la
linguistica proprio per negare, con l’autorevolezza che gli era propria,
questo principio. Ma lui ce l’aveva con quanti si chiedevano come
mai il russo che si parlava ai suoi tempi fosse ancora lo stesso dei tempi
degli zar e avevano l’improntitudine di suggerire che allora, forse, neanche
la società era così diversa e capirete che non poteva andare troppo per
il sottile. Forse, se avesse riflettuto di più sul problema dei rapporti
tra i fidanzati, avrebbe evitato di firmare un’opera che non fa onore
né alla linguistica né, tanto meno, al marxismo.
D’altronde,
ogni epoca ha i problemi che merita. Noi inorridiamo, giustamente,
di fronte al modello di rapporti sociali propostoci dall’esperienza staliniana,
ma non troviamo niente di strano, per tornare al nostro punto di partenza,
in un manifesto che ci propone di cercarci una fidanzata (o un fidanzato,
naturalmente) per potere far uso di un profilattico. Perché
questo è il senso di quella pubblicità, non si scappa: il preservativo
c’è, bene in vista (ne viene raffigurata, in primo piano, un’intera confezione);
il fidanzato o la fidanzata bisogna cercarseli. Si tratta di una
palese inversione di quello che Hugo Dingler definiva, se non erro, il
“principio dell’ordine prammatico”. In fondo, sarebbe molto più
ragionevole provvedersi prima di un partner del sesso desiderato e procurarsi
poi il preservativo. Lo consiglierebbe non soltanto una corretta
impostazione metodologica, ma anche un certo senso delle priorità valoristiche.
È vero che, come recita il motto dei boy scout, bisogna essere sempre
preparati, ma è anche vero che i soggetti, nel senso dei soggetti umani,
dovrebbero venire sempre prima degli oggetti, nel senso degli articoli
di cui si fa mercato. Altrimenti si corre il rischio di confondersi
e di fare mercato dei soggetti umani, il che per la pubblicità, naturalmente,
non è un problema, ma dovrebbe esserlo per noi.
19.12.’99