Farfalle fuori stagione

La caccia | Trasmessa il: 11/21/2010


    Farfalle fuori stagione

    In una delle più brutte tra le Odi barbare – una raccolta dal livello singolarmente disuguale, nel senso che alterna autentici capolavori a boiate pazzesche – e precisamente in quella intitolata a “Roma”, Giosuè Carducci si chiede, al verso 4, “chi le farfalle cerca sotto l'arco di Tito”. Un verso curioso, che doveva suonare, nelle intenzioni del poeta, come dura denuncia dell'atteggiamento di quanti, pur di fronte alla solennità della storia, si perdono in frivolezze e curiosità spicciole, ma, come videro già alcuni tra i contemporanei, improntato a un sarcasmo che un po' sfumava nella comicità involontaria e prestava così il fianco a facili ritorsioni. D'altro canto, il Carducci era sempre il Carducci e poteva sempre valere la pena di prenderlo sul serio. Così, qualche decennio dopo, un altro poeta, Domenico Gnoli, rivolgendosi al collega da poco scomparso, gli chiedeva rispettosamente perché proprio non fosse lecito cercarle, quelle farfalle in quel luogo. “Bello” scriveva “è vederli nell'aerea danza / que' petali viventi agitar l'ale / fra le grandi ruine. Oh fratellanza / d'ogni cosa mortale”. Che sono versi meno solenni e ideologicamente meno sicuri di sé, ma certo assai più gradevoli, come capita talvolta di farne, nel cimento con i grandi, ai poeti minori. L'immagine delle variopinte farfalle che aleggiano tra gli archi e le colonne del passato classico esprime una sua grazia liberty che può ancora sedurci.
    Intendiamoci. È soltanto una odicina, quella dello Gnoli, ma una odicina che, oggi, non potrebbe pi■scrivere nessuno. Sarebbero troppo pochi, per cominciare, i lettori capaci di cogliere il riferimento alle Odi barbare e poi, naturalmente, non ce ne sarebbe materia. Non so quante e quali farfalle sia possibile incontrare, oggi, nei Fori romani e dintorni, ma ho il sospetto che abbiano fatto tutte la stessa fine delle lucciole di Pasolini. Se ne trovano sempre meno, lo avrete notato, anche in campagna, figurarsi in citt■ E a Roma forse ancora qualcuna, nella bella stagione, ma qui a Milano, da quanto tempo non vedete una farfalla a Milano? Ed ■vero che nella nostra citt■di ruine non ce ne sono, salvo quelle prodotte quotidianamente dalla signora Moratti e dai suoi collaboratori, che sono tutt'altra cosa, ma a tutti noi piacerebbe, ogni tanto, che la tensione del paesaggio urbano postindustriale fosse allentata da un fruscio di ali colorate. Invece niente: da quando persino Berlusconi ha smesso di regalarne alle sue graziose ospiti sotto specie di spilla, per sostituirle direttamente con cospicue mazzette di banconote, di farfalle non se ne vedono nemmeno ad Arcore.
    Sarà per questo che le competenti autorità comunali hanno deciso di addobbare un certo numero di vie cittadine con grandi farfalle in volo di plastica bianca. Io le ho viste in Canonica, Paolo Sarpi e strade adiacenti, ma credo se ne possano trovare anche altrove. E sono, se mi permettete un giudizio estetico che non mi compete, francamente brutte. Sono state installate – mi è sembrato di capire – nell'ambito del consueto programma di addobbi natalizi e può darsi che in dicembre, quando saranno illuminate, faranno la loro figura, ma per ora, in queste cupe giornate di novembre, quelle grandi lenzuolate bianche quadrilobate sospese sopra le vie mettono soprattutto tristezza. Più che farfalle (perché suppongo che siano farfalle, visto che l'iconografia è un poco approssimativa) sembrano fantasmi: i fantasmi di un quartiere che un tempo era vivace e pieno di animazione e oggi, come esito della dura lotta condotta da sindaco e vicesindaco contro le infiltrazioni allogene, è malinconico e spento. La cosa è particolarmente evidente in via Paolo Sarpi, dove, a parte il fatto che in un anno e mezzo di indefessi lavori non sono ancori riusciti a completare marciapiedi e arredo urbano e posare la selciatura, la pax decoratica ha generato il deserto, i negozi chiudono, quelli cinesi non meno di quelli italiani, i pedoni non osano avventurarsi (né ve ne sarebbe, d'altronde, il motivo) e l'aspetto generale è appunto quello di un cimitero, cui ben si addicono quei funebri spettri.
    Non so cosa dirvi. Sono almeno cinquant'anni che i cittadini pensosi del bene pubblico si interrogano sulla necessità di addobbare le strade sotto le feste, senza particolari benefici estetici e con indubbio dispendio di preziosa energia. Ricordo che se ne occupò già un giovane Umberto Eco, in uno dei suoi primi pezzi di “Diario minimo”, di quelli destinati a non essere poi compresi nella celebre antologia del 1963. Io stesso, nel mio piccolo, devo avervi intrattenuti in argomento più di una volta. Dal dibattuto non mi sembra siano sortiti dei gran risultati e ogni anno, ai primi di novembre – quando Natale, per fortuna, è ancora lontano – ci troviamo increduli a chiederci perché. Certo, cambiano le mode, gli stili e le tecnologie: ai filari di lampadine nel miglior stile di sagra di strapaese si sono alternate strutture più complesse e forme di illuminazione più elaborate e da quando alle lampadine si sono sostituiti i led nessuno pone più freno alla fantasia – spesso morbosa – di chi si occupa di queste cose. Il risultato è quello di sottolineare drammaticamente le molte manchevolezze estetiche di una città che molto giovamento trarrebbe dall'essere inghiottita dalle tenebre.
    E poi, cosa c'entrano le farfalle con il Natale. Creature primaverili ed effimere, non hanno niente in comune con la simbologia del sempreverde, dell'abete e dell'agrifoglio. Aspettiamo la buona stagione e andiamo a cercarle in campagna, se ce ne sono ancora. Oppure, possiamo sempre prendere il Frecciarossa e andare a vedere quante ne sono restate sotto l'Arco di Tito. Sotto quello della Pace no, perché lì, dopo chissà quanti anni di restauri, continuano a cadere blocchi di marmo e il rischio di rimediare un pezzo di trabeazione sul cranio è troppo alto.
21.11.10


    Nota

    La più recente edizione delle Odi Barbare (1877) di Giosuè Carducci è apparsa nella Grande Universale Mursia, Mursia, Milano 1986. “Roma”, del 1873, fa parte del Libro I. Per Domenico Gnoli cfr. I poeti minori dell'Ottocento, a c. d. Ettore Janni, BUR, Rizzoli, Milano 1958, v. III pp. 330-340. L'odicina “A Giosuè Carducci” è a p. 340.