Essere e avere

La caccia | Trasmessa il: 03/29/2009


    Pensate un poco come reagirebbero i vari colonnelli del centrodestra, quelli che oggi, tutti appesi alle labbra del Capo, attendono ai futili riti del loro nuovo partito, pensate a come reagirebbero se qualcuno proponesse di rendere non vincolante il testamento, il testamento vero – dico – quello con cui si destinano ai propri discendenti, o ad altri soggetti a scelta, i beni terreni di cui si dispone. Se qualcuno presentasse una legge per cui il testamento lo si può sempre fare, e ci mancherebbe, ma le autorità finanziarie, ove ravvisassero gravi e giustificati motivi, potrebbero non tenerne conto, destinando i beni del defunto a chi vogliono loro. Succederebbe, indubbiamente, un casino. I più griderebbero, come minimo, alla congiura comunista – supportata o non supportata dalla magistratura, – al tentativo eversivo di distruggere quel diritto alla proprietà su cui si fonda, non che il sistema economico, la civiltà stessa dell'Occidente. Dei propri beni, si sa, il diritto romano permette di fare quel che si vuole e tale jus utendi et abutendi, come tutti i diritti fondamentali, va rispettato e fatto rispettare. È a tale scopo, secondo alcuni, che si è inventato lo Stato. I più eruditi potrebbero far notare che il concetto stesso di “testamento non vincolante” è, se non proprio un ossimoro, almeno una contraddizione, visto che il testamento è l'atto con cui si dichiara pubblicamente (si “testifica”) la propria volontà, nell'ovvia presunzione che ad essa gli altri si adeguino, altrimenti perché prendersi la briga di farlo?
    Ora, sappiamo tutti che quella parte politica ha negato, votando compatta in Senato, che possa essere considerato vincolante il cosiddetto testamento biologico, le indicazioni da lasciare a proposito del trattamento medico cui si intende essere o non essere sottoposti in caso di sopraggiunta incapacità. Liberi i cittadini di lasciarne, sia pure secondo procedure inutilmente complesse e arzigogolate, e liberi i medici di non tenerne conto, se lo riterranno opportuno. Questa posizione non è esattamente contraddittoria con quella che supponevamo dianzi, visto che le “dichiarazioni anticipate di trattamento” (così le chiamano) non rappresentano un testamento vero e proprio e il loro campo di applicazione è ovviamente diverso, ma indica senza dubbi una certa pronunciata asimmetria nel campo dei diritti e dei valori. Diciamo che se venisse confermato il testo votato dai senatori, un cittadino potrebbe disporre liberamente dei propri beni materiali, ma non della propria persona. Che, tanto per servirci della contrapposizione valoriale espressa nel titolo del celebre saggio di Erich Fromm, la sua libertà sarebbe garantita nella sfera dell'avere, ma irrimediabilmente negata in quella dell'essere.
    Naturalmente ci sono, per cacciarsi in questa aporia, delle buone ragioni. La principale, naturalmente, è rappresentata dalla volontà della chiesa cattolica, che, in coerenza con la propria visione teoretica, nega al soggetto (anche) questo tipo di libertà, e dalla volontà della destra – e di parte non piccola della sedicente sinistra – di compiacere tale volontà, estendendo la precettistica clericale anche a quanti con una visione religiosa del mondo non vogliono aver nulla a che spartire. Non è una novità neanche questa: la chiesa ritiene da sempre che le proprie norme debbano valere per tutti, credenti e no (dicono che lo impone il “diritto naturale”, qualsiasi cosa esso sia) e non ha nulla in contrario a che siano imposte per via coercitiva. E che ci siano delle parti politiche disposte a rinunciare alla difesa di quell'autonomia etica dell'individuo da cui, con la Riforma e l'Illuminismo, è nata la modernità, in cambio dell'appoggio di vescovi e clero, be', anche questo lo sappiamo fin troppo bene. Che poi questo coacervo di conservatori illiberali, di leccapiedi dell'episcopato e di conculcatori della libertà altrui (e quindi, pur se non lo sanno, anche della propria) erigendosi in partito dichiari di farlo in nome della libertà, proponendosi, anzi come soggetto di una “rivoluzione liberale”, dimostra soltanto quanta sia la loro impudenza. E quanto creduli, ahimè, siano i loro seguaci.

    29.03.'09