Errori di traduzione

La caccia | Trasmessa il: 01/20/2002



Avrete appreso anche voi che il Papa, giorni fa, si è dichiarato addolorato e sorpreso alla scoperta che nella futura carta costituzionale europea, qual è prefigurata nella dichiarazione di Laeken, non è previsto alcun riferimento al valore e alla funzione della religione, al punto che tra le varie “organizzazioni della società civile” che i futuri costituenti dovranno consultare sono citate le “parti sociali”, il “mondo degli affari”, gli “organismi non governativi”, le università, eccetera, ma non le Chiese, o, come si usa dir oggi, le “comunità di credenti”.  Quelle, con un po’ di buona volontà, le si possono trovare soltanto nell’eccetera finale.  Sembra dunque che il pontefice, nel sentirsi leggere quell’elenco, si sia “personalmente risentito”.  E siccome non è uomo che quando si arrabbia se lo tenga per sé, ha approfittato del tradizionale ricevimento del corpo diplomatico dedicato agli auguri di buon anno per esprimere con energia il proprio punto di vista. La “marginalizzazione delle religioni”, che tanto “hanno contribuito e ancora contribuiscono alla cultura e all’umanesimo dei quali l’Europa è legittimamente fiera” ha detto, “è al tempo stesso un’ingiustizia e un errore di prospettiva”.  Tenendo conto della circostanza, delle consuetudini e del protocollo, immagino che la dichiarazione abbia prodotto sugli interlocutori l’impressione di una energica bacchettata sulle dita.
        Mah.  Se mi è concessa la presunzione, credo di capire quello che sente il pontefice.  A nessuno fa piacere trovarsi relegato in un “eccetera”, e meno che mai a un uomo tanto sicuro di sé e del proprio ruolo.  Ma il problema è che lui, nonostante tutti i suoi viaggi, non ha una gran pratica d’Europa.  In fondo è passato direttamente dalla Polonia all’Italia e ormai è aduso irrevocabilmente alla centralità ideologica di cui la Chiesa, per il potere che esercita e l’ossequio che le è tributato, ha sempre goduto in entrambi i paesi.  Nessuno ha mai avuto il coraggio di spiegargli che l’Europa moderna non l’ha inventato, come si dice talvolta, Carlo Magno (il cui impero, concettualmente, era tutt’altra cosa), ma è nata, tra il XVII e il XVIII secolo, dalla tremenda esperienza delle guerre di religione, un grande macello da cui le grandi nazioni del continente si sono infine sottratto solo adottando la ferrea convenzione per cui, nella vita pubblica, quando si tratta di attribuire ai cittadini i loro diritti e doveri, della fede e dell’appartenenza religiosa di ognuno era meglio non tenere affatto conto.
È in base a questo principio, di origine affatto pratica, ma non privo di una sua certa valenza etica, che si è assicurata la pacifica convivenza di cattolici e protestanti nel Nord Europa, nonché la possibilità di integrarvi, volendo, gli eventuali nuovi venuti.   Certo, a Sud e a Est del continente, in Italia, in Spagna, nei paesi balcanici e slavi, si è scelta tutt’altra via, ma sarà anche per questo che il percorso democratico dalle nostre parti è stato (ed è) tanto più accidentato.  I politici dei principali paesi europei (tra i quali, sperando di non offendere nessuno, mi permetterò di non includere il nostro) lo sanno benissimo e non hanno alcuna intenzione di rinunciare a un’impostazione che sta alla base dello sviluppo democratico del continente, nemmeno per fare piacere al papa.
        In effetti, le uniche voci che hanno fatto coro a quella di Giovanni Paolo II sono state, salvo errore, tutte italiane.  All’immancabile, puntualissimo ossequio dell’onorevole Casini, ha fatto seguito, nel recente dibattito parlamentare sulla politica estera, quello del presidente Berlusconi.  E anche l’ottimo Prodi, che pure, vista la sua posizione di responsabilità a livello europeo, avrebbe fatto meglio a star zitto, ha sentito il bisogno di garantire che a marginalizzare le religioni lui, dio ne scampi, non ci pensa nemmeno.  Prodi e Berlusconi si considerano, credo, liberali tutti e due, ma il loro liberalismo non è tale da porre a nessuno problemi di laicità.  In ogni caso, visto che i leader europei che contano veramente non hanno dato prova di consimile zelo, sembra altamente probabile che la carta europea resti priva dei riferimenti al Divino tanto auspicati da Giovanni Paolo II.
        Sarà forse per consolarlo che il “Corriere della sera” dell’11 gennaio scorso, oltre a guarnire la notizia dell’invettiva papale con una delle solite indegne tabelle da cui risulta, sulla base di chissà quali dati, che in Italia i cattolici sarebbero il 97,6%, contro un 1,92 di “altre fedi”, ha avanzato l’ipotesi che “quell’assenza nella Carta” sia, guarda un po’, “colpa della traduzione”.  In fondo nel documento, a cercar bene, si legge che l’Unione “è consapevole del suo patrimonio spirituale e morale” e basterebbe ipotizzare, come scrive un anonimo corsivista, che in quell’aggettivo “spirituale” sia compreso il significato di “religioso”, da esplicitare mediante un’adeguata traduzione, per mettere tutto a posto.  Come esponente, sia pure a riposo, della nobile categoria dei traduttori, mi sento lusingato, ma anche piuttosto perplesso.  Che nelle nostre responsabilità ci fosse quella di sanare le contraddizioni tra il laicismo e clericalismo non mi era mai venuto davvero in mente.

20.01.’02