Spero che abbiate apprezzato tutti la
puntata di “Pinocchio” di martedì 8 dicembre ultimo scorso, trasmessa
in diretta dal santuario di Caravaggio e dedicata nientemeno che alla Madonna.
A me, vi confesso, un po’ è piaciuta, almeno fino a un certo punto.
Non mi considero particolarmente religioso, ma non ho mai negato
che la religione sia una faccenda piuttosto seria e, in un paese in cui,
di solito, i giornali, quando parlano di “cattolici”, si riferiscono
ai vari Marini, Casini, Mastella e Cossiga, e in cui la massima autorità
ecclesiastica riconosciuta è rappresentata da una figura così irrimediabilmente
mondana come quella dell’attuale Pontefice, sempre intento a chiedere
soldi per le sue scuole e a invocare provvedimenti di legge che proibiscano
o impongano questo o quello ai fedeli (e, presumibilmente, agli altri),
è un piacere, ogni tanto, scoprire che esistono delle persone capaci di
vivere l’esperienza religiosa come autentico rapporto con il soprannaturale,
della gente che non si vergogna a credere che una personalità tanto eminente
come la Madre di Dio scenda dal cielo per apparire ai suoi devoti e farsi
carico dei loro problemi. Mi ha interessato molto sentir parlare
quanti avevano fatto questa esperienza (o auspicavano di farla) e avrei
voluto che venissero concessi loro più spazio e più voce.
Ciò
non è successo, naturalmente, perché in trasmissione, accanto ai fedeli,
c’era anche un certo numero di pezzi grossi. C’erano un paio di
vescovi, strategicamente disposti tra il pubblico e sul palco, com’era
– immagino – inevitabile. C’era uno scrittore che ha scritto un
libro sulla Madonna e che evidentemente non ci si poteva esimere dal convocare.
C’era il sindaco Cacciari, filosofo eminente, che, sviluppando una
tecnica che è solito adottare con i dirigenti politici di ogni ordine e
grado, non poteva perdere l’occasione di spiegare ai vescovi che in tema
di Madonna ne sapeva molto più lui di loro. C’era la Lucia Annunziata,
che non si capiva bene cosa c’entrasse, se non forse per il cognome, ma
che per la Madonna ha dichiarato una “seria ammirazione” (e poi, in fondo,
ha scritto da poco un libro anche lei, anche se su tutt’altro argomento,
e deve ben ricominciare a farsi vedere sui teleschermi). E c’era
il conduttore della trasmissione, che aveva evidentemente una tesi cui
era affezionato, quella per cui la devozione mariana è un fenomeno popolare,
una specie di spinta dal basso che riesce, chissà come, a modificare l’assetto
dottrinario e la struttura stessa della Chiesa e che doveva dare continuamente
la parola, con ovvio disappunto, a dei signori che, laici o religiosi che
fossero, con le spinte dal basso volevano evidentemente avere a che fare
il meno possibile.
Non
sono in grado di esprimere un giudizio sulla questione. Ma c’è un
particolare che ho notato e che non mi sembra futile comunicarvi. Sulla
Madonna, in quell’occasione, si sono dette molte cose: si è parlato, da
diversi punti di vista, non solo della sua Immacolata Concezione (come
avrebbe suggerito la data), ma della sua disponibilità a intercedere a
favore di chi Le si rivolge, dei miracoli che può avere o non aver fatto,
della Sua capacità di sopportare il dolore, del modello di femminilità
che la Sua figura può rappresentare per l’umanità di oggi e per quella
di domani. Si è molto insistito – insomma – sul suo essere madre,
e sul significato che questo può avere per tutti noi.
Niente da eccepire, ovviamente. Ma
è strano che sulle caratteristiche, diciamo così, eccezionali, singolari
di quella maternità, così com’è definita nel racconto dell’Annunciazione,
che era un problema che interessava non poco, ancora ai miei tempi, quanti
della Madonna avevano occasione di parlare, non si sia detto una sola parola.
La Beata Vergine non è stata definita come tale nemmeno una volta.
Lo stesso termine “vergine” non si è sentito più di due volte,
e sempre di passaggio.
Si capisce anche. Se della Madonna
si vuole sottolineare soprattutto l’aspetto umano, farne una figura femminile
con cui è possibile dialogare e chiedere aiuto (tanto è vero che si manifesta
su questa terra con una certa frequenza), allora non vale la pena di sottolineare
l’aspetto che più la distinguerebbe da tutte le altre donne che hanno
avuto e avranno la ventura di essere madri. E tra il pubblico televisivo,
non si sa mai, si può sempre annidare qualcuno che abbia compiuto studi
sufficienti per collegare quella strana storia della Vergine e Madre a
tutta una tradizione precristiana che affonda le sue radici in quei riti
di vegetazione che, secondo una vecchia, ma ragionevole, ipotesi, stanno
alla base dei fatti religiosi, il che sarebbe disdicevole per chi, del
fenomeno mariano preferisce sottolineare l’assoluta novità e unicità.
E infine non vi parrà peregrina l’idea che l’enfasi con cui gli
uomini di Chiesa insistevano, fino a qualche anno fa, sulla verginità di
Maria non fosse, come dire, esente dal proposito di proporre la Sua figura,
almeno alle fedeli, come modello comportamentale cui adeguarsi, un programma
sul quale, con la saggezza e il pragmatismo che da sempre li caratterizzano,
oggi quei bravi signori preferiscono non impegnarsi più di tanto.
Però non è valido. Non è bello
che a noi laici si chieda continuamente coerenza e rigore, che ci si inchiodi
ai nostri assunti per il puro piacere di dichiararli inevitabilmente superati,
perché, come ripetono tutti, non è più tempo di guerre religione, mentre
loro, unanimi, si permettano di glissare con tanta disinvoltura su quegli
aspetti dottrinari che potrebbero causare qualche imbarazzo. È una
cosa che sa un po’ di epurazione e poi significa approfittare un po’
troppo dell’aiuto che, per ovvi motivi di schieramento, ci si aspetta
dalla Divina Provvidenza. L’anticlericalismo è morto, l’Inquisizione
non c’è più, gli “storici steccati” che dividevano credenti e non credenti
sono stati superati da tempo e una trasmissione televisiva non è certo
una lezione di catechismo, ma su una cosa fedeli e pastori farebbero meglio
a non contare ad infinitum: sulla nostra disponibilità a dimenticare quello
che loro stessi ci hanno raccontato.
06.12.’98