Effetto farfalla

La caccia | Trasmessa il: 02/26/2012


    Effetto farfalla

    Lasciami baciare la farfalla” chiedeva Peter Sellers a Leigh Taylor-Young, in un vecchio film del 1968 che da quella frase traeva il suo titolo italiano, anche se in versione originale ricorreva a un più erudito I Love You, Alice B. Toklas. Era, la farfalla in questione, tatuata in qualche punto strategico – francamente, non ricordo quale – dell'anatomia della ragazza, per cui la richiesta non era priva di malizia: si tingeva, anzi, di una sfumatura di trasgressività che ben si addiceva a un'opera tutta centrata sull'attrazione fatale che un avvocato molto borghese prova per il mondo di quelli che si chiamavano allora “figli dei fiori”, affascinato com'era, in particolare, dalle promesse di libertà sessuale incarnate dalla scatenata protagonista. Il film, diretto da Hy Averback, era uno dei primi tentativi di Hollywood di fare i conti con la cultura alternativa degli anni '60 e Sellers vi ci si produceva in una delle sue caratterizzazioni più divertenti.
    Oggi, naturalmente, nessuno chiederebbe di baciare la farfalla che Belen Rodriguez ha esibito ai telespettatori di Sanremo, e in seconda battuta a quelli di Porta a Porta, attraverso un lungo spacco anteriore della sua gonna tatuata più o meno vicino all'inguine. I protagonisti del mondo mediatico non sono tanto accessibili ai comuni mortali da poter essere oggetto di concupiscenza da parte loro: la loro immagine non può essere scissa dallo schermo televisivo o dalla carta patinata e, se li incontrassimo nella vita reale, probabilmente non li riconosceremmo neppure. Pure l'esibizione della show girl argentina, nella sua fulminea brevità – poco più di un battito d'ali, in un certo senso – ha avuto degli effetti moltiplicatori paragonabili a quelli di un altro celebre lepidottero, quello che battendo le ali in Brasile produceva un uragano nel Texas, secondo l'esempio di cui si servì, già nel lontano 1972, Edward Lorentz per illustrare la teoria della complessità. E non alludiamo soltanto alla popolarità mediatica della ragazza, che è stata ovviamente moltiplicata nel più soddisfacente dei modi (digitando su Google le stringhe “Belen” e “farfalla” si incontrano, a tutt'oggi, 1.990.000 occorrenze): anche le sue ricadute economiche sono degne di nota. Gli esperti hanno calcolato che il cachet medio della Rodriguez è salito al punto che, se, prima, per farla partecipare a una sfilata di moda (partecipare nel senso di sedersi tra il pubblico e applaudire) gli organizzatori se la potevano cavare con cinquemila euro, adesso ne dovranno cacciare almeno ventimila, una cifra destinata a essere quintuplicata nel caso volessero far sfilare lei in persona. Non parliamo delle quotazioni per partecipazioni pubblicitarie o cinematografiche, che registrano un aumento medio del trenta per cento.
    Ciascuno, naturalmente, spende i suoi soldi come crede e se i guru della moda, del cinema e della pubblicità ritengono che la farfalla di Belen meriti l'investimento, fanno bene a non lesinare. Tuttavia viene spontaneo chiedersi cosa mai abbia fatto, la portatrice di quel tatuaggio, per meritare un simile incremento d'immagine e di valuta. Certo si tratta, secondo i parametri in uso, di una donna attraente, ma questa non è una novità. Lo si sapeva già prima e non c'era, nella sua bellezza, nulla di misterioso, visto che lei stessa la ha più volte esibita in vari gradi di deshabillé. Per non dire che sue fotografie, più o meno senza veli, sono state pubblicate parecchie volte e su alcune di esse la farfalla di cui era perfettamente visibile. Né si capisce perché la sua ostensione televisiva debba aver ottenuto un simile effetto, visto che è consistita in una apparizione fulminea, e, tutto sommato, castissima, in cui null'altro che il tatuaggio si è potuto intravedere, anche grazie all'uso, da parte della ragazza, di appositi slip in silicone di fabbricazione cinese – si chiamano, ho appreso, strapless panty – che permettono di mostrare quanta più epidermide possibile senza in nulla scadere nello sconveniente. Un mezzo mistero, dunque.
    Si potrebbe obiettare che quell'esibizione ha funzionato come un segnale, richiamando l'attenzione del pubblico su un elemento cruciale dell'anatomia femminile, restituendo, in un certo senso, all'immagine patinata della pin up il suo originario carattere di oggetto di desiderio e scatenando così l'immaginazione degli spettatori. Sarà certamente così, ma perché il meccanismo funzioni bisogna anche presupporre che quell'immaginazione fosse ben debole e lacunosa, se c'era necessità di stimolarla in quel modo. Che Belen fosse una donna, con certe caratteristiche fisiche, in fondo dovevano saperlo tutti, senza bisogno che queste caratteristiche fossero segnalate da ingegnosi indicatori a farfalla.
    Ma la televisione, nella sua versione RAI, è quello che è: una continua riproposta dell'ovvio, una sempre più sensazionale scoperta dell'acqua calda. Agli spettatori assopiti davanti ai teleschermi tra una canzone e l'altra – se canzoni ci sono state, perché io, che la festival non ho assistito, non ne ho sentito affatto parlare – sono stati serviti, per tenerli un po' su, anche alcuni elementi di scandalo: le programmatissime intemperanze ideologiche di Celentano e le non meno programmate ostentazioni parainguinali della Belen. Entrambi, da seri professionisti quali sono, hanno fornito il prodotto richiesto, ed è giusto che entrambi ne siano adeguatamente e principescamente retribuiti. Altrimenti, come farebbe la RAI a dilapidare tutto quello che ricava dal canone?
26.02.'12