Dorando 06

Atene | Dorando 06


    Un consiglio. Se venite ad Atene e volete far vedere che siete aggiornati, tenetevi alla larga dalla Plaka, dal centro storico, da Mikrolimano e dagli altri quartieri tradizionali dell’intrattenimento notturno, quelli dove si suona il buzuki e i turisti sono costretti a esibirsi in improbabili imitazioni di Anthony Quinn nel ruolo di Zorba. In questo agosto olimpico, per divertirsi si va alla Psirì, la vecchia zona dei magazzini commerciali a sud di Omonia, o, meglio ancora, al Gasometro, il Gazi, come familiarmente lo chiamano. Laggiù, in quello che una volta era il cuore industriale della città, a mezza strada tra la capitale e il Pireo, in un cima vagamente allucinato di vecchie fabbriche e rimesse per camion svuotate, ridipinte e trasformate in gigantesche discoteche, tra bar, barettini e baretti infilati in ogni angolo disponibile, lungo le strade escluse al traffico automobilistico e fiancheggiate dalle “installazioni” luminose dei principali artisti locali, si aggirano, a piedi o – potendo – in motocicletta, orde di giovani ateniesi in cerca di sensazioni nuove. Se vi unirete a loro, vi sembrerà di essere entrati in un quadro di Sironi o in una delle piazze metafisiche di De Chirico, che d’altronde, se ricordo bene, è nato da queste parti.

    Il fatto è che Atene, come tutte le città industriali di questo mondo, si è trovata, a un certo punto, a dover affrontare il problema delle aree dismesse. Una bella grana, perché, tra strutture portuali inutilizzate, fabbriche fuori uso, magazzini abbandonati e chi più ne ha più ne metta, il territorio interessato aveva (e ha) una dimensione terrificante e, quanto a degrado, non lasciava proprio nulla a desiderare. Si è cominciato, come è ovvio, dalla parte più accessibile dal centro, dal tratto finale di odòs Ermù, oltre il mercatino delle pulci di Monastiraki e la sinagoga, dove una volta si spingevano soltanto i pochissimi turisti interessati a raggiungere gli scavi del cimitero classico del Keramikòs. Oggi, quell’area archeologica, che un tempo rappresentava un’oasi di pace in cui rifugiarsi quando si cercava un contatto con l’antichità un po’ più riservato di quello concesso dalle comitive giapponesi sull’Acropoli, si trova proprio al centro del nuovo quartiere dei divertimenti. Di notte, naturalmente, gli scavi sono chiusi, ma hanno costruito una collinetta artificiale, verdissima d’erba che sembra di essere in Scozia, dalla quale li si può contemplare dall’alto.

    Il realtà, il Keramikòs non sembra così fuori posto come quando il gasometro era in funzione. Bar e discoteche non esauriscono l’appeal della zona. Non manca, beninteso in altro orario, un’adeguata offerta culturale. Il gasometro in questione, con gli edifici adiacenti, è diventato la sede del nuovo “Centro culturale del mondo ellenico”. Bastano pochi passi per arrivare, in odòs Pireòs, alla nuovissima sede staccata del museo Benaki, che, in un futuristico edificio senza finestre costruito, come i megaron antichi, attorno a un enorme cortile centrale, organizza eventi speciali ed esposizioni temporanee. Un po’ più in là, nella Psirì, lo stesso museo ha trasferito in un ex palazzotto neoclassico di uffici commerciali le sue notevoli collezioni di arte islamica. E, come vi dicevo, gli artisti contemporanei hanno a disposizione, nelle innumerevoli gallerie o direttamente in strada, tutto lo spazio di cui abbisognano per far conoscere le loro opere.

    Inserti archeologici a parte, il modello è noto e ampliamente sperimentato. È quello inaugurato quarant’anni fa a Parigi con lo sventramento delle Halles e delle zone adiacenti e portato alla perfezione a New York con So-Ho, Tribeca e chissà che altro. Quando emigrano, o si estinguono, le attività produttive, nel guscio vuoto che si lasciano alle spalle subentrano, senza interruzione di continuità, quelle culturali e di intrattenimento. È un’idea, credo, che non nasce tanto dalla volontà di riutilizzare in qualche modo degli spazi che hanno perso la loro funzione e si sono resi disponibili nell’interesse generale (in questo caso ci si potrebbero fare, che so, dei parchi o dei quartieri residenziali, due articoli di cui, almeno qui ad Atene, non manca certo il bisogno), quanto dalla consapevolezza che, nella città di oggi, quelle della cultura e dell’intrattenimento sono industrie allo stesso titolo delle altre e come le altre vanno organizzate dal punto di vista urbanistico ed economico.

    Qui ad Atene, va detto che la nuova realtà urbanistica di Gazi, suscita un generale entusiamo. Che il tutto finisca per assomigliare, al di là delle intenzioni e dell’impegno dei progettisti, a un grande luna park, che l’operazione di piegare edifici e strutture a una funzione che non è la loro non possa mai essere completamente indolore, è cosa cui non sembra badare nessuno. Come nessuno sembra badare al problema dell’identità storica e culturale della città, al rischio di sconvolgerla una volta per tutte o, semplicemente, di abolirla nell’adeguamento passivo a un modello internazionale già sfruttato. In fondo un gasometro è sempre un gasometro, ad Atene come a Reykjavik, e per quanto ci si affatichi intorno non se ne può tirar fuori qualcosa di altro che un gasometro. Ma abbiamo già visto come, con la festa delle Olimpiadi, gli ateniesi stiano festeggiando soprattutto il loro accesso definitivo all’era della globalizzazione.

23.08.’04
Dorando 06