Dorando 04

Atene | Dorando 04


    È straordinario quanto poco spazio hanno dedicato i media greci al radiomessaggio olimpico del presidente Bush. È vero che il vecchio marpione parlava soprattutto pro domo sua, spiegando che se gli irakeni e gli afgani hanno potuto partecipare ai giochi è stato tutto merito della Casa Bianca (e del Pentagono), ma, in fondo, ha anche detto una quantità di cose gentili sulla Grecia, sulla sua funzione storica e sulle sue attuali capacità organizzative. Pensate ai titoloni che avrebbero sparato i giornali italiani se il grande capo bianco avesse riversato appena metà di questi complimenti sul nostro paese. Invece, qui niente: le prime pagine di ieri erano tutte dedicate all’imprevista medaglia d’oro del giovane judoka Ilias Iliadis, e Bush ha dovuto accontentarsi, al massimo, di un paio di trafiletti all’interno. E tutti per di più, riferendo del suo discorso, hanno avuto cura di mettere tra evidentissime virgolette il termine “olimpico”.

    Niente di cui meravigliarsi, naturalmente. Vi ho già riferito, mi sembra, che qui gli americani non sono particolarmente simpatici a nessuno. La Grecia non è un paese che persegua una politica estera particolarmente autonoma, è un membro abbastanza allineato della NATO e dell’Unione Europea, ha ben poco a che fare con il terzo mondo e le sue tensioni, ma custodisce con gelosia il senso della propria indipendenza e uno dei modi con cui segnala all’universo questa legittima pretesa è una certa freddezza nei confronti dei padroni del mondo (e dei loro reggicoda più plateali, come dimostra l’antipatia diffusa per Blair e il trattamento che la stampa locale, a destra o a sinistra, riserva al povero Berlusconi).

    Naturalmente, gran parte di questo esasperato senso dell’indipendenza dipende dal fatto che i greci, nella loro storia recente, ne hanno sempre goduto ben poca. Lo stesso stato greco moderno è nato, nel 1821, sotto la “garanzia” di tre “potenze protettrici” (Francia, Inghilterra e Russia), che oltre a imporgli prima un re tedesco e poi una dinastia danese, ne controllavano ad arbitrio il debito pubblico e la politica fiscale, e questa condizione umiliante è stata abolita formalmente soltanto nel 1948, dopo la seconda guerra mondiale. E poi c’è stata la guerra civile, in cui l’intervento inglese prima e americano poi è stato decisivo per il destino del paese. Nessuno, credo, oggi rimpiange l’alternativa rappresentata allora dal partito comunista, ma il fatto che la scelta sia stata, in un certo modo, imposta da fuori continua a dare fastidio anche ai conservatori. La scelta della Nato è stata obbligata e nessuno, neanche i papandreisti, la ha mai veramente messa in discussione, ma del fatto che i padroni della Nato siano più sensibili, per quanto riguardo il problema di Cipro e quello della piattaforma egea, agli argomenti turchi che a quelli greci qui sono acutamente consapevoli tutti.

    Politica a parte, il problema ha una sua cospicua dimensione culturale. Non si può capire fino in fondo lo spirito greco contemporaneo se non ci si rende conto di come la tradizionale rivalità con i turchi musulmani sia bilanciata da una diffidenza quasi altrettanto tenace verso la cristianità non ortodossa, verso quegli occidentali che appena due o tre decenni fa venivano ancora comunemente definiti i franghi, “i franchi”, come al tempo delle crociate, che qui non sono mai state troppo popolari. I greci condividono con il resto dell’occidente l’eredità classica, ma si sono sempre considerati “diversi”, figli di quella Bisanzio che fioriva di altissima civiltà quando noi non sapevamo far altro che prenderci in testa a colpi di mazza ferrata. Il che è un guaio, perché al prodotto nazionale lordo contribuisce in altissima percentuale il turismo, il che significa che a tutti quei franchi che volentieri si rimanderebbero a casa loro, a quella massa di buzzurroni seminudi che d’estate invadono le città, le spiagge e le isole, che non sanno una parola di greco, non capisco un’acca delle tradizioni locali, quando entrano in una chiesa non baciano l’icona, mangiano l’insalata come contorno e non come antipasto e si lamentano continuamente dei prezzi e della qualità del servizio, bisogna mostrarsi, se non ossequienti, almeno cortesemente arrendevoli. Che ci si prenda qualche soddisfazione mettendo Bush in seconda linea è fin troppo comprensibile.

    Il bello è che i geci, in generale, sono sensibilissimi a quello che all’estero si dice su di loro. Non c’è giornale che non intervisti ogni sorta di visitatori per avere la loro opinione sul paese: il Kathimerinì ci ha persino dedicato un supplemento speciale a colori. Ma un conto è l’opinione dei visitatori qualsiasi, un altro quella dei grandi del mondo, nei cui apprezzamenti il sensibile elleno riuscirà sempre a percepire una sfumatura di condiscendenza. E nessuno si rende conto che, con il pretesto delle Olimpaidi, anche in questo angolo del Mediterraneo, si sta combattendo, piano piano, senza alzare troppo la voce, l’ennesimo scontro di civiltà.

19.08.’04
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