Dorando 03

Atene | Dorando 03


    Ad Atene, in questi giorni, è pieno di uniformi. Non soltanto perché ogni angolo, specialmente in prossimità di ambasciate, edifici pubblici e impianti sportivi vari, è presidiato da grappoli di poliziotti e vigili urbani, e stranamente, fanno più impressione i vigili, che, in anfibi, tuta mimetica e baschetto nero sembrano sempre pronti per una missione di commando nella giungla, mentre i poliziotti, nelle loro camiciole blu polvere stazzonate e chiazzate alle ascelle, trasudano – non saprei se a torto o a ragione – una specie di trasandata bonomia. Oltre a costoro, che, tutto sommato, sapevamo di dover mettere nel conto, ci sono i volontari. Legioni di volontari. Giovanissimi, in genere, arruolati in tutta evidenza tra le fila della popolazione studentesca, sciamano a gruppi per ogni dove e rappresentano una delle caratteristiche salienti del paesaggio urbano.

    Di volontari, in giro per la capitale greca, per essere precisi, ce ne sono di due tipi. Quelli del Comune, il cui incarico specifico ha a che fare con l’aiutare i visitatori a orizzontarsi in città, vestono in maglietta giallo carico, berrettino da basket blu e short in tinta. Sono raggruppati, in genere, presso certi appositi chioschi, dai quali distribuiscono con liberalità opuscoli di vario tipo (e di utilità, va detto, non eccelsa). Di Atene e dei suoi misteri non sembra sappiano, in definitiva, un granché, ma almeno quale linea del filobus si debba prendere per andare in un dato posto te lo sanno dire.

    Il secondo gruppo è molto più pittoresco. I suoi membri devono dipendere, in qualche modo, dall’organizzazione dei Giochi e, come altrettanti uccelli tropicali, sono riconoscibili da lontano per il piumaggio variopinto che li contraddistingue. Portano una maglietta bianca, azzurra e arancione (ma l’azzurro e l’arancione si presentano in una quantità incredibile di sfumature), con i cinque cerchi olimpici e il logo della corona d’olivo sulla schiena, pantaloni in tinta libera, scarpe da ginnastica, un cappellaccio a falde ripiegate che ricorda molto il modello preferito dai cacciatori australiani di coccodrilli e un grosso marsupio di nailon blu con borraccia, per non dire del pass plastificato irto di sigle e codici a barre che, come chiunque abbia, sia pur lontanamente, a che fare con le olimpiadi, tengono appeso al collo. Si muovono soltanto a gruppi e li si incontra praticamente dovunque: sui mezzi pubblici, alle fermate, nei musei, sui siti archeologici o, più semplicemente, per strada.

    In quasi una settimana di permanenza quaggiù, vi confesso, non ho ancora capito che cosa ci stiano a fare. Informazioni non ne danno e, se richiesti, non ne sanno dare, anzi, mi è capitato di dover spiegare io a tre di loro che quel giorno da lì non passavano gli autobus, perché la città era mezzo bloccata per via della prova di ciclismo su strada. I pochi che ho visto al lavoro, alle transenne degli attraversamento pedonali e alle code dei botteghini, appartenevano chiaramente a una generazione più anziana, diciamo dai trentacinque in su, come se i responsabili avessero bello e capito che ad affidare delle responsabilità operative a quelli che restano, alla fin fine, dei liceali in vacanza, si va solo in cerca di rogne. Giovani e giovinette, così, se ne vanno di qua e di là in piccole comitive spensierate, ciacolando allegramente, corteggiandosi a vicenda e mettendo in atto tutte quelle dinamiche di affermazione, imitazione ed esclusione che l’occhio esercitato di un ex insegnante sa cogliere a prima vista in qualsiasi gruppo di bipedi implumi di quell’età.

    Forse mi sbaglio, eh. Forse tutti quelli che ho visto stavano dirigendosi da qualche parte, andavano in un posto dove li aspettavano compiti impegnativi e gravosi. Ma l’ipotesi, a pensarci, non è necessaria. Se è vero che, nello spirito del nostro tempo, anche le Olimpiadi sono soprattutto un “evento” con le virgolette, come a dire, in buona sostanza, uno spettacolo cui si partecipa relativamente in pochi, mentre in tanti stanno semplicemente a guardare, ma contano lo stesso moltissimo, perché è appunto sulla quantità degli spettatori, sui numeri di chi guarda, che si misura la riuscita dell’impresa, ciascuno di coloro che vi sono coinvolti adempie alla propria funzione semplicemente mettendosi in mostra. Tutti quei volontari multicolori non serviranno a niente di concreto, forse, ma dei volontari, in un evento moderno di questo spessore, devono essercene per forza e, secondo l’antica logica dello spettacolo, bisogna poterli individuare a prima vista in quanto tali, perché di volontari operativamente più utili, ma meno appariscenti non sentirebbe davvero il bisogno nessuno. Nel grande circo Barnum di Atene 2004 anche loro fanno la loro parte. Non per niente, qui a due passi, in quella grande concavità naturale sul lato sud dell’Acropoli, 2500 anni fa è stato inventato il teatro. E il teatro, già ai tempi di Eschilo, poteva limitarsi a uno o due attori, ma di un numero adeguato di comparse non poteva fare certamente a meno.

18.08.’04
Dorando 03