Due riviste, l’una accanto all’altra
sul tavolino di vetro di una sala d’attesa. Stesso formato, stessa
carta patinata, e – come scoprirò poi – stesso editore, anche se questa
probabilmente è una coincidenza. Meno casuale, forse, il fatto che
le due copertine tocchino la stessa area tematica. Il “Magazine”
del “Corriere della sera”, n. 43 del 27.10.’05, esibisce sotto l’immagine
di Tom Wolfe, un po’ ridicolo nella sua uniforme di gentiluomo del Sud
in completo bianco con feltro in tinta, una scritta che afferma minacciosamente
che “La rivoluzione sessuale è finita”. Invece “Oggi”, n. 42
del 19 u. s., mette in copertina un signore di mezza età con la faccia
furba, una fascia tricolore come quella dei sindaci e quattro belle ragazze
con la coroncina da reginetta attorno e ne anticipa un “irresistibile
memoriale”, il cui contenuto sintetizza con un plateale “Ho amato 600
donne – ora ho solo una moglie e un’amante”.
A chi, come
me, siede in quella sala non è dato certo capire, dalla interazione dei
due messaggi, se la rivoluzione sessuale sia finita o meno. In ogni
caso, tendo la mano verso il magazine, perché del numero delle donne
amate da un tipo con quella faccia non me ne importa poi molto e Tom Wolfe,
quali siano le sue mende sartoriali, è comunque uno scrittore importante,
le cui opinioni meritano di essere conosciute. Ma, ahimè, il servizio
all’interno non riferisce opinioni di sorta: è solo una elegante marchetta
(se preferite, un frutto di sinergie editoriali) volto a promuovere l’ultimo
romanzo del vecchio dandy, di prossima comparsa in libreria. Pare
di capire che in tale opera di narrativa, ambientata in una prestigiosa
università americana, della puntuale rappresentazione di sfrenatezze sessuali
di ogni tipo non si faccia risparmio, ma il punto di vista critico dell’autore
è incarnato da una protagonista che, almeno nelle prime pagine, è
vergine e alla fine si scopre insoddisfatta del come ha smesso di esserlo.
Per cui, visto che di storie del genere, per quel che ricordo, se
ne scrivono e pubblicano almeno da sessant’anni, con maggiore o minore
successo di scandalo, ma sempre senza esiti letterari da premio Nobel,
decido che non è il caso di perdere tempo con un servizio giornalistico
in merito e che sarà meglio, forse, passare all’altra rivista.
Di diverso
spessore, in effetti, il memoriale dell’ometto con la faccia furba. È
costui, sembra, un ex cantante di qualche fama, oggi riciclato come conduttore
televisivo di successo, che della sua condizione di bigamo conclamato non
ha mai fatto mistero. La considera, se mai, piuttosto restrittiva:
in fondo, anche se non gli piace fare i conti, in vita sua “è stato”,
all’incirca, con seicento ragazze, come da copertina. Per lui, in
effetti, le donne e il gioco d’azzardo sono sempre state il punto debole,
ma dell’uno si è liberato, mettendosi in autoterapia (che deve essere
l’equivalente medico di quell’autosospensione tanto cara ai nostri politici
colti con le mani nel sacco) e le seconde è riuscito a ridurle drasticamente
a due. Oggi ha solo due amori “ufficiali”: la moglie, da cui ha
avuto due figlie, e la compagna, che per semplicità gli fa anche da manager.
Recentemente hanno festeggiato tutti insieme in allegria i suoi cinquant’anni
ed entrambe le signore “hanno vissuto praticamente insieme per due settimane,
a organizzare nei dettagli la grande festa. Insieme mi hanno
fatto il regalo: un orologio prezioso, insieme hanno confezionato la torta,
una millefoglie gigante da leccarsi i baffi.” Non va sempre così,
certo, quella era una occasione speciale, ma è un menage che, in
ogni modo, funziona abbastanza bene. D’altronde, commenta, non c’è
niente di straordinario: è una cosa che fanno in tanti, ma loro la vivono
di soppiatto e lui, invece, la porta alla luce del sole.
Mah. Personalmente
non ho nulla contro la bigamia, purché tra consenzienti, e quanto alle
seicento ragazze, vista l’età del soggetto, vanno spalmate su almeno
trentaquattro anni di vita sessuale attiva, che fa poco meno di una ogni
tre settimane, niente che non possa figurare nel palmarés di un qualunque
scapolo di medio calibro attivo nel mondo dello spettacolo. Ma anche
se si può fare meglio, l’exploit resta discreto e tenendo conto
che il tipo, sempre per motivi di età, deve essere stato educato in un’etica
sessuale non diversissima di quella dei tempi miei, si può persino considerare
la sua testimonianza una prova del fatto che, a scorno di Tom Wolfe, la
rivoluzione sessuale finita ancora non è.
Sarà. Eppure,
non trovate un po’ triste anche voi quella scena della moglie e dell’amante
che fanno insieme la millefoglie di compleanno? Ed è piuttosto triste,
vi assicuro, tutto il quadro che l’individuo tratteggia della sua vita,
una specie di gineceo allargato di moglie, amante, madre, figlie e sorella,
in cui può capitare che una domenica tutti sono seduti a tavola e al dolce
il capofamiglia si alza per annunciare, pimpante, di avere un’altra figlia
segreta. Più che un’immagine di sessualità liberata sembra quella
di un’istituzione concentrazionaria, in cui è difficile che chiunque,
maschio o femmina, possa intrattenere dei rapporti appaganti con chiunque
altro. Ma tanto si capisce benissimo che il problema non è questo:
è chiaro che il tipo esibisce scientemente quella immagine, a prescindere
da ogni considerazione di valore o credibilità, perché è a essa che affida
le sue chances di restare a galla nel difficile mondo in cui opera.
Perché io non saprei dirvi nulla sulle sue doti di cantante o intrattenitore,
ma non mi risulta che siano considerate eccelse, tali da assicurargli automaticamente
fama e notorietà e in questi casi, notoriamente, un aiutino serve, per
cui una nomea di bigamo manifesto, ex giocatore assatanato e amatore di
lungo corso, per quanto culturalmente un poco stereotipata, o forse proprio
per questo, può sempre servire. Tanto queste affermazioni oggi come
oggi non le va a controllare nessuno e comunque la RAI, invece di licenziare
in tronco chi se ne ammanta, come sarebbe successo ai bei tempi, gli organizza
delle serate speciali piene di belle figliole, come le quattro finaliste
di Miss Italia della foto in copertina. Ma, lo ripeto, che tristezza.
Come è assai
triste, per concludere, che un anziano scrittore di 74 anni decida di riproporci,
nell’ansiosa ricerca del best seller, l’ennesima variante di una
storia con cui le varie Françoise Sagan e Pamela Moore – per fare due
nomi a caso – ci hanno afflitto per anni, una storia in cui la deprecazione
moralistica del sesso libero (dopo il quale, in quei romanzi lì, la ragazza
non si sente mai tanto bene) funge, di solito, da pretesto per ammannircene
una quantità industriale, una cosa che, rivoluzione o no, giova sempre
alle vendite. Perché c’è chi millanta sesso per vendere la propria
immagine e chi ne scrive per vendere più copie, ma di vendere, ahimè, sempre
si tratta. E visto che la rivoluzione sessuale del secolo scorso,
come l’avevano sognata i Lawrence o i Reich, la generazione perduta degli
anni ’30 o i ribelli degli anni ’60, consisteva esattamente nel tentativo
di liberare la sessualità da ogni carattere di merce di scambio (ineguale)
per affermarne l’assoluta autonomia liberatoria, dubito che la si possa
davvero considerare finita. È molto più verosimile che debba ancora
cominciare.