L'ispettore Rebus della polizia di Edinburgo,
nella dozzina di romanzi che gli ha dedicato Ian Rankin è indubbiamente
invecchiato. Ormai gli mancano solo un paio d'anni alla pensione
e, come capita a tutte le persone di una certa età, vede sparire a poco
a poco attorno a sé quelli che erano i suoi punti di riferimento. Non
per niente lo cogliamo, in apertura di questa sua ultima impresa, al funerale
di un fratello. Ma, visto che la sua caratteristica principale,
per tutta la saga, è stata quella della ostinazione, tutto ciò non gli
impedisce di essere sempre lo stesso Rebus: cocciuto, ribelle, insofferente
delle procedure e della disciplina e deciso, costi quello che costi, a
seguire esclusivamente la propria esperienza e le proprie intuizioni. E
di queste dote in Dietro a quel delitto il nostro eroe ha indubbiamente
bisogno, visto che la vicenda si svolge nel luglio del 2005 in una Scozia
praticamente militarizzata per via dell'imminente riunione del G8, in un
imperversare di servizi segreti e pezzi grossi dagli imprecisati poteri,
che tutto gradiscono fuorché un'indagine accurata sui motivi dell'apparente
suicidio di un funzionario del Ministero degli Esteri con le mani in pasta
in una quantità di affari poco puliti. E per di più bisogna occuparsi
della uccisione di un losco individuo, legato a un boss della mala locale,
che con le trame politiche di cui sopra può avere, chissà, qualche rapporto.
E Siobhan, il sergente Clarke, sua collaboratrice storica, ha anche
lei i suoi guai, perché è afflitta da due genitori ancora fedeli, nonostante
i loro centoventi anni in due, agli ideali della contestazione e se li
trova tutti e due a Edimburgo a dimostrare e a prendere un fracco di botte,
in un carosello di pacifisti veri e presunti, black bloc, hippies di varie
generazioni e infiltrati assortiti. La situazione, che in noi italiani
non può che suscitare dei brutti ricordi, è descritta con grande partecipazione
umana e civile e rappresenta, ne converrete, uno sfondo inedito per una
indagine criminale. Ci vorrà un bel po' di fatica per sciogliere
tutti i nodi, o quasi, ma i nostri eroi ovviamente ce la faranno, in un
finale meno prevedibile di quanto si potesse temere.
Rebus,
naturalmente, rappresenta la variante contemporanea di un modello molto
sfruttato dal poliziesco britannico del secondo Novecento, quello – per
intenderci – di Ruth Rendell, P.D. James e compagni, e in quanto tale
appartiene a una vasta tribù di investigatori dal volto umano, diffusa
ormai in tutto il continente, dalla Svezia dell'ispettore Wallander alla
Sicilia del commissario Montalbano. Ma del modello rappresenta una
variante, diciamo, più scabra e meno manierata, un autentico ex sessantottino
incattivito, del tutto indifferente alle lusinghe della carriera, ma non
a quelle del rock duro, del whisky e del fumo e – soprattutto – del tutto
incapace di negarsi il piacere di mandare al diavolo (diciamo così) qualsiasi
tipo di superiore. Una vita dura, nel complesso, ma è quella che
si è scelto e in altro modo, comunque, non saprebbe comportarsi. Rankin
ne racconta le gesta con il suo tipico stile, un po' pedante, ma sempre
coinvolgente, e ormai gli siamo affezionati. Francamente la prospettiva
di vederlo andare in pensione tra due anni fa un poco dispiace, ma due
anni sono lunghi e chissà cosa può succedere nel frattempo. Vedremo.
18.02.'08
Ian Rankin, Dietro quel delitto (The Naming of the Dead), tr. it. di Anna Rusconi e Isabella Zani, "La gaja scienza" - Longanesi, pp. 484, € 18,60